Leggere "I giorni di Antigone" di Dacia Maraini
Un saggio di Gianni Ghiselli
Scritto in occasione della serata conclusiva di Casadeipensieri2006, Bologna 18 Settembre, Festa Unità, Parco Nord.
Dacia Maraini, I giorni di Antigone, Milano, Rizzoli, 2006.
Introduzione.
“Purtroppo le parole non hanno la perfezione e la forza assoluta di un gesto come quello di Antigone” (i giorni di Antigone , p. 7).
Commento. Le parole di Antigone. Il dramma greco è logocentrico.
Le parole a volte hanno maggiore forza dei gesti. Anche non poche parole dell’Antigone di Sofocle: parole con le quali la ragazza afferma la sua identità:
quando Ismene le fa notare : "tu hai il cuore caldo per dei cadaveri gelati" (v. 88), ella risponde : " ajll j oi\d j ajrevskous j oi|" mavlisq j aJdei'n me crhv" (Antigone, v. 89), ma so di essere gradita a quelli cui soprattutto bisogna che io piaccia" .
L'eroe tragico di Sofocle è un uomo (come Aiace, come Edipo) o una donna, o piuttosto una ragazza, come Antigone, come Elettra , comunque una persona di statura eroica "che, senza l'aiuto divino e contro l'opposizione degli uomini, prende una decisione che scaturisce dallo strato più profondo della sua natura individuale, della sua physis , e in seguito la mantiene ciecamente, con ferocia ed eroismo, anche fino alla propria distruzione… In sei delle tragedie superstiti (ad eccezione naturalmente delle Trachinie ) l'eroe si trova di fronte a una scelta tra la rovina possibile (o sicura) e un compromesso che, se lo accettasse, tradirebbe il concetto che egli ha di se stesso, dei suoi diritti e doveri. L'eroe decide contro il compromesso, e questa decisione viene poi oppugnata, dal consiglio degli amici, con le minacce, addirittura con la forza. Ma l'eroe rifiuta di cedere; egli rimane fedele a se stesso, alla sua physis , quella "natura" che ha ereditato dai genitori e che costituisce la sua identità. Da questa risoluzione deriva la tensione drammatica di tutte e sei le tragedie: dalla risoluzione di Aiace di morire piuttosto che sottomettersi, dall'incrollabile fedeltà di Antigone al fratello morto, da quella di Elettra a suo padre, dall'amaro rifiuto di Filottete di recarsi a Troia, dall'ostinata insistenza di Edipo a Tebe per conoscere tutta la verità, prima sull'assassinio di Laio e poi su se stesso, e dalla volontà del vecchio Edipo di farsi seppellire su suolo attico. In ciascun dramma l'eroe è assoggettato a pressioni da ogni lato (...) Antigone deve affrontare la fraterna insistenza di Ismene, le minacce di Creonte, la violenta disapprovazione del coro, l'imprigionamento in una tomba e la mancanza di qualunque segno di approvazione da parte di quegli dèi di cui è paladina (...) E tutti resistono saldamente alla massiccia pressione della società, degli amici e dei nemici. " .
Altre parole esemplari, educative, non meno del gesto di Antigone sono quelle con le quali afferma la sua vocazione umanistica, nel senso che si sente incline a soccorrere l’umanità, a partire dai più deboli l'umanità :" ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio, ma l'amore. "Esiste un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone di Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento; in essa, Antigone rappresenta l'umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera dell'uomo" . Credo che questi versi di Sofocle siano più significativi, per un giovane di oggi, che il gesto di seppellire il fratello.
Denuncia della tirannide
Inoltre: il tiranno fa paura poiché non subisce limitazioni. Ebbene Antigone denuncia non solo l’empietà ma anche il crimine politico del tiranno che ha tolto il bene supremo della parresia al popolo: il gesto trasgressivo e glorioso di seppellire il proprio fratello, è piaciuto ai Tebani i quali tacciono solo per paura:" Del resto da dove avrei potuto ottenere una gloria/ più bella e famosa che componendo mio fratello/nella tomba? Si potrebbe dire che a tutti questi questo/piace, se la paura non serrasse la lingua /ma la tirannide in molte altre cose ha successo/e per giunta le è possibile sia dire sia fare ciò che vuole" (vv. 502- 507)
."Proprio questo caratterizza il monarca, poter fare ciò che vuole senza essere soggetto ad alcun controllo" .
Ora è il potere del mercato, e quello della finanza, che non subiscono controlli. Un governo democratico degno di questo nome dovrebbe dare ordini al mercato, non prenderne.
Che ne sarà dei nostri parchi?
“Gli alberi? Sacrifichiamoli, è la sentenza incosciente. E’ più importante il lavoro” (i giorni di Antigone p. 26). Gli alberi continua la Maraini hanno una funzione non soltanto estetica “essi sono le sentinelle del clima”.
Commento.
Io dico che contribuiscono anche al nostro benessere mentale. Secondo Dostoevskij costituiscono quasi un test del nostro carattere.
Sentiamo il principe Myškin che ritiene connaturata all’uomo e naturale la felicità: “Io non so come sia possibile passare accanto a un albero e non sentirsi felici di vederlo. Parlare con una persona e non essere felici di volerle bene! Oh, io non so esprimere bene i miei sentimenti…ma quante cose belle vediamo ad ogni pie’ sospinto, belle al punto che l’uomo più abbietto non può che vederle sempre belle? Guardate un bambino, guardate l’alba divina, guardate come cresce un fuscello, guardate negli occhi che vi guardano a loro volta e vi voglione bene…” .
Il dolore non ha bandiera.
Risposta a Oriana Fallaci.
“Sapere accogliere il diverso è una conquista, una forza, non una debolezza” (I giorni di Antigone , p. 34).
Commento. La diversità.
“L’esperienza dei totalitarismi ha messo in rilievo un carattere fondamentale della democrazia: il suo legame con la diversità. La democrazia presuppone e nutre la diversità degli interessi così come la diversità delle idee. Il rispetto della diversità significa che la democrazia non può essere identificata con la dittatura della maggioranza sulle minoranze; la democrazia deve comportare il diritto all’esistenza e all’espressione per le minoranze e per i contestatori, e deve permettere l’espressione delle idee eretiche e devianti. Come si deve proteggere la diversità delle specie per salvaguardare la biosfera, così si deve proteggere la diversità delle idee e delle opinioni, nonché quella delle fonti dell’informazione (stampa, media) per salvaguardare la vita democratica” .
La democrazia è legata alla diversità anche in campo religioso ed è lontana dal monoteismo che è prescrittivo, autoritario, talora persino guerrafondaio: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”. Ha detto bene Massimo Cacciari in un recente intervento televisivo: la democrazia è strutturalmente politeistica.
Nel trattato Della tirannide (del 1777) Alfieri distingue la religione cristiana dalla pagana rilevando l’incompatibilità della prima con la libertà: “La religione pagana, col suo moltiplicare sterminatamente gli dèi, e col fare del cielo quasi una repubblica, e sottomettere Giove stesso alle leggi del fato , e ad altri usi e privilegi della corte celeste, dovea essere, e fu infatti, assai favorevole al vivere libero…La cristiana religione, che è quella di quasi tutta la Europa, non è per se stessa favorevole al viver libero: ma la cattolica religione riesce incompatibile quasi col viver libero…Ed in fatti, nella pagana antichità, i Giovi, gli Apollini, le Sibille, gli Oracoli, a gara tutti comandavano ai diversi popoli e l’amor della patria e la libertà. Ma la religione cristiana, nata in popolo non libero, non guerriero, non illuminato e già intieramente soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca obbedienza; non nomina né pure mai la libertà; ed il tiranno (o sacerdote o laico sia egli) interamente assimila a Dio” (I, 8).
A proposito degli "altri", degli stranieri, dei diversi, la letteratura antica ci insegna, spesso, la tolleranza.
Dalle Storie di Erodoto proviene un insegnamento che rimane valido pure oggi. Si tratta del cosiddetto relativismo erodoteo, considerato da alcuni un tratto che accomuna lo storiografo con la sofistica di Protagora il quale sostenne che l'uomo è "misura di tutte le cose" . Ma il relativismo del sofista tende a mettere in discussione tutti i valori assoluti, mentre quello di Erodoto non riguarda l'ordinamento del cosmo, non vuole toccare gli dèi né sfiorare gli oracoli, bensì rifiutare l'intolleranza.
Nel terzo libro dello storiografo di Alicarnasso troviamo un episodio che afferma il valore della tolleranza e costituisce uno dei più alti insegnamenti della cultura antica. Il re Dario domandò ad alcuni Greci se sarebbero stati disposti a cibarsi dei loro padri morti, ed essi risposero che non l'avrebbero fatto per niente al mondo.
Quindi il re dei Persiani chiese agli Indiani chiamati Callati, i quali mangiano i genitori ( oi{ tou;" goneva" katesqivousi", 3, 38, 4), a quale prezzo avrebbero accettato di bruciarli nel fuoco, e quelli, gridando forte, lo invitarono a non dire tali empietà. Così, conclude Erodoto, queste usanze sono diventate tradizionali, e a me sembra che giustamente Pindaro abbia fatto affermando che la consuetudine è regina di tutte le cose ("novmon pavntwn basileva fhvsa" ei\nai").
I costumi e anche le parole hanno valore relativo.
Erodoto inizia questo capitolo sul relativismo affermando:" in ogni caso secondo me è evidente che molto matto era Cambise (" ejmavnh megavlw" oJ Kambuvsh"" ); altrimenti non si sarebbe messo a schernire religioni e costumi (3, 38, 1).
A me sembrano molto matti tutti quelli che aizzano l’odio tra civiltà diverse, molto matti oppure, se pagati bene, molto furbi e molto criminali.
Excursus: la lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci (1975), la Lettera sull’aborto di Dacia Maraini (2002), e le Eumenidi di Eschilo (458 a. C.) (pp. 5-11).
Una volta Oriana Fallaci era una diversa, una anomala lei pure.
La Lettera a un bambino mai nato (1975), dedicata “A chi non teme il dubbio/a chi si chiede i perché/senza stancarsi e a costo di soffrire di morire” è un libro che rivendica la libertà, appunto, di essere differente dai più, ed estraneo ai luoghi comuni. Una libertà anarchica, d’altra parte non senza il culto del successo come realizzazione nel lavoro.
Faccio un esempio di anomalia rispetto alla donna tipica: “Io non credo alla famiglia. La famiglia è una menzogna costruita da chi organizzò questo mondo per controllare meglio la gente…Ci si ribella più facilmente quando si è soli, ci si rassegna più facilmente quando si vive con altri. La famiglia non è che il portavoce di un sistema che non può lasciarti disobbedire, e la sua santità non esiste. Esistono solo gruppi di uomini e donne e bambini costretti a portare lo stesso nome ed abitare sotto lo stesso tetto: detestandosi, odiandosi, spesso”(pp. 36-37).
Locus similis negli Scritti corsari, dello stesso anno: “la civiltà dei consumi ha bisogno della famiglia. Un singolo può non essere il consumatore che il produttore vuole. Cioè può essere n consumatore saltuario, imprevedibile, libero nelle scelte, sordo, capace magari del rifiuto: della rinuncia a quell’edonismo che è diventato la nuova religione. La nozione di “singolo” è per sua natura contraddittoria e inconciliabile con le esigenze del consumo. Bisogna distruggere il singolo. Esso deve essere sostituito (cm’è noto) con l’uomo-massa. La famiglia è appunto l’unico possibile “exemplum” concreto di “massa”. E’ in seno alla famiglia che l’uomo diventa veramente consumatore” .
Ma torniamo alla Fallaci e al suo ribellismo anarchico, velleitario, e talmente pessimistico che la indirizza dalla parte del più forte: “In qualsiasi sistema tu viva, non puoi ribellarti alla legge che a vincere è sempre il più forte, il più prepotente, il meno generoso” (Lettera a un bambino mai nato, p. 37).
Allora, dico, bisogna stare dalla parte di chi perde. Invece la scrittrice insegna al nascituro che i rapporti umani sono rapporti di forza e che a questa legge ci si deve adeguare: “C’è sempre uno che mangia un altro o scuoia un altro per sopravvivere” (p. 41). Prende a esempio gli animali, ma noi non siamo animali. Lo aveva fatto notare già Esiodo.
Ma la Fallaci crede nella necessità della diseguaglianza e della non libertà: “L’uguaglianza, figlio, esiste solo dove sei tu: come la libertà” (p. 45). Quindi ricorda i bombardamenti, le violenze, le umiliazioni subite dagli “amici” Americani e Inglesi che al padre avevano fatto sperare un avvenire migliore: “Presto però s’accorse che con le loro risate grasse, colme d’umanità, anch’essi violentavano e corrompevano e si comportavano da padroni” (p. 49). Allora li conosceva bene e li aveva capiti. Ma erano e sono rimasti i più forti.
Quindi arriva l’uomo pentito, il padre del "bambino" che dice: “è anche mio”. Ma la Fallaci non ne vuole sapere: l’uomo, quando ha fecondato la donna, se pure è stato lui, non serve più: “Maria, Gesù, Giuseppe. Perché Giuseppe? Sta così bene Maria col suo bambino e basta” (p. 54) Ma anche se non si tratta di partenogenesi: “un uomo e una donna si incontrano, si piacciono, si desiderano, forse si amano, e dopo un certo tempo non si amano più…Ho trovato ciò che cercavo, un bambino: tra un uomo e una donna ciò che chiamano amore è una stagione. E se al suo sbocciare questa stagione è una festa di verde, al suo appassire è solo un mucchio di foglie marce…Speriamo che non torni più” (p. 56).
E’ il movimento contrario a quello impresso da Eschilo al pendolo del rapporto uomo donna in fatto di generazione. Nelle Eumenidi (del 458 a. C.) prevale la tesi di Apollo il quale, spalleggiato da Atena la dea nata senza madre, per minimizzare il crimine del matricidio, un delitto di dignità mitologica anche secondo Proust, risponde alle Erinni infuriate contro Oreste, l’assassino della madre, con una affermazione di patriarcato e di antifemminismo estremo. Vale la pena riferirla per quanto è fuori moda adesso:"La cosiddetta madre non è la generatrice del figlio (tevknou tokeuv~ ), ma la nutrice (trofov~) del feto appena seminato: genera il maschio che la monta; quella come un ospite con un ospite salva il germe (e[rno~), per quelli ai quali gli dèi non l’abbia distrutto"(vv. 658-661).
La madre non è indispensabile continua Febo:"ne è qui testimone la figlia di Zeus Olimpio, la quale non venne nutrita nelle tenebre di un utero, ma è come un virgulto (e[rno~) che nessuna dea avrebbe potuto partorire"(vv.664-666).
In questi tre versi si vede la paura dell'uomo per l'oscurità della donna che è poi la zona oscura di se stesso, la propria parte femminile, una parte con la quale invece hanno un buon rapporto gli uomini che amano le donne e, siccome ne sono stati contraccambiati, amano anche se stessi.
Anche Dioniso nacque senza madre. La storia è raccontata nelle Baccanti (vv. 519-527).
Voglio citare, in contrapposizione a tanto antifemminismo, qualche riga dell'Ulisse di Joyce che elogia l’amore della madre:" Se non fosse stato per lei la maratona del mondo lo avrebbe schiacciato sotto i piedi, spiaccicata lumaca senza vertebre. Lei aveva amato quel debole sangue acquoso trasfuso dal proprio…Amor matris , genitivo soggettivo e oggettivo, questa è forse l'unica cosa vera nella vita. La paternità forse è una finzione legale. Chi è il padre di un qualsiasi figlio perché qualsiasi figlio debba amarlo o viceversa (...) Il figlio nascituro guasta la bellezza: nato, porta dolore, separa l'affetto, accresce le preoccupazioni. E' un maschio: la sua crescita è il declinare del padre, la sua giovinezza l'invidia del padre, il suo amico il nemico del padre (...) Che cosa mai li congiunge in natura? Un istante di cieca foia" .
Dacia Maraini nella sua Lettera sull’aborto ricorda la tragedia di Eschilo con il finale delle Furie placate le quali “sono diventate le Eumenidi, benedicenti mestamente i nuovi diritti dei padri”. Vediamo in che modo.
Le Erinni minacciano "una scabbia che dissecca la vegetazione e fa abortire le donne"( Eumenidi, v. 785). Ma poi Atena cerca di mitigare la loro collera funesta promettendo culti e devozione a nome degli Ateniesi.
La vittoria degli dèi olimpici e patriarcali infatti non vuole essere schiacciante: Atena promette alle rivali vinte:"sedi e antri" dove potranno stare "assise su altari dagli splendidi seggi"(v.806) e avranno onore dalla cittadinanza. La corifèa ribadisce i propositi di vendetta ripetendo parola per parola le minacce precedenti; allora Atena menziona il fulmine di Zeus con un tono di ritorsione che però addolcisce subito preferendo puntare ancora sulla persuasione:"Io ho fiducia in Zeus, che bisogno c'è di dirlo? E sono l'unica tra gli dèi a conoscere le chiavi della stanza in cui sta sigillato il fulmine. Ma non c'è bisogno di questo. Lasciati persuadere. Non scagliare contro questa terra parole di lingua temeraria, frutto che porta malessere a tutti. Sopisci l'amaro ardore di nera onda poiché sarai venerata abitando con me"(vv. 826-833).
La corifèa ancora non si lascia convincere; allora Atena prova a lusingarla, non senza un pizzico di ironia: "sopporterò le tue collere: infatti tu sei più anziana e certo anche più saggia di me, sebbene anche a me Zeus concesse di capire qualcosa"(vv. 848-850). Quindi Atena aggiunge altre promesse: "e tu, avendo una sede onorata presso la dimora di Eretteo, otterrai da processioni di uomini e donne onori quanti non potresti ottenere da altri mortali "(vv. 854-857).
In cambio di questi culti, Atena chiede prosperità e pace:"tu dunque su questi miei luoghi non scagliare incitamenti sanguinari, rovine di giovani animi pazze per furori non provocati dal vino; non aizzare i cuori come quelli dei galli, non collocare nei miei cittadini Ares intestino, e violenza reciproca. La guerra rimanga fuori dalla porta, e non sia penosa per chi abbia violenta brama di gloria; ma non approvo la lotta dell'uccello domestico"( Eumenidi , vv.858-866).
Le Erinni, difficili a placarsi, oppongono ancora qualche resistenza, ma oramai sono vicine a trasformarsi in benevole Eumenidi. La corifèa infatti accetta la dimora offertale da Atena nella sua città e le chiede pure quali onori debba attendersi (v.894). Pallade la lusinga dicendole che la prosperità di ogni casa dipenderà da lei (v.895). La Furia diviene sempre meno malevola finché ammette:"mi sembra che mi affascinerai e desisto dal risentimento"(v.900).
Quindi Atena chiede prosperità per i buoni, e sterminio contro gli empi, una distruzione affidata alle Erinni stesse (v.910).
Nel canto finale il Coro benedice Atene e promette la sua protezione al paese; allora Pallade riconosce alle dèe venerande un grande potere sopra e sotto terra (vv. 950-951): la linea culturale più antica è inserita nella polis di Atena e di Eschilo. Le Erinni, i è vero, possono dare:"ad alcuni gioia di canti, ad altri invece una vita oscurata dalle lacime"(vv.953-955), ma da ora in avanti questo avverrà secondo una norma razionale che punisce la colpa e premia il merito individuali. Atena constata che la ragione umana l’ha avuta vinta sui vaneggiamenti magici.
"E' prevalso Zeus protettore dell’assemblea (ajgorai'o~) e la nostra gara di benefici (ajgaqw'n e[ri~) vince per sempre"(vv.973-975). Alle due e[ride~ di Esiodo , quella cattiva e quella buona, si aggiunge questa che è ottima.
E' la vittoria della parola colta e persuasiva sul mugolio con il quale si erano presentate le Erinni entrando in scena (vv. 117 e sgg.). Il coro si unisce alla deprecazione del fremito raccapricciante delle guerre civili e augura la concordia che "tra i mortali è il rimedio di molti mali" (v.986). Atena quindi invita i cittadini a onorare favorevoli le dèe favorevoli (eu[frona~ eu[frone~, v. 992) dai cui volti, pur spaventosi, la dea vede derivare grandi vantaggi per la polis : “ejk tw'n foberw'n proswvpwn -mevga kevrdo~ oJrw' toi'sde polivtai~”(vv. 990-991).
Così le Eumenidi diventano sempre più benevole appunto e lanciano benedizioni:"salve, siate felici nel fortunato possesso della ricchezza, siate felici cittadini di Atene, che state vicino a Zeus, cari alla vergine cara, rimanendo saggi nel tempo: il padre ha sacro rispetto per chi sta sotto le ali di Pallade (vv. 996-1002).
Atena contraccambia l'augurio mentre si forma una processione che deve accompagnare le dèe venerande alla loro dimora sotterranea dove saranno ospiti; la parola greca è mevtoikoi (v.1011), meteci, che indica una condizione la quale non gode della piena cittadinanza e dell' optimum ius; questi infatti erano stranieri che, pur coabitanti, non godevano dei diritti politici e subivano restrizioni anche nel campo dei diritti civili.
Nel compromesso tra le due religioni dunque, quella olimpica prevale. Anche Atena si unisce alla processione che mette al sicuro, sotto terra, le vecchie dèe:"vi accompagnerò alla luce di fiaccole fulgenti nei luoghi inferi sotto la terra con queste ancelle che custodiscono il mio simulacro"(vv. 1022-1024). Al corteo è invitato o[mma ga;r pavsh~ cqono;~ -Qhsh'ido~ "l'occhio di tutta la terra di Teseo" (v. 1025-1026), nobile schiera di donne giovani e anziane con vesti di porpora, un colore ctonio. Quindi la processione si muove verso la sede delle Eumenidi, le dèe venerande divenute propizie. Fiaccole vivaci illuminano il cammino e i devoti alternano religioso silenzio (v.1035) con grida di giubilo e danze che chiudono la tragedia (v.1047).
Nel prosieguo della cultura e del costume europeo ha vinto l'odio tra i sessi raccontato dalla poesia antica: tutte le cinquanta Danaidi, meno una, hanno assassinato gli sposi, Clitennestra ha ucciso Agamennone, Oreste la madre, Procne e Medea i propri figli per punire i mariti , poi arriverà il cristianesimo il quale" diede a Eros del veleno da bere: egli non ne morì, ma degenerò in vizio" .
Le donne giustamente rifiutano questo declassamento del loro ventre a “contenitore”: “La madre non è più all’origine della vita, ma è solo un contenitore di vite altrui. E’ il padre che concepisce, che dà il soffio dell’energia vitale…D’altronde la Bibbia non racconta qualcosa di simile? Non stabilisce che è la donna che nasce dal corpo dell’uomo?” (Maraini, Lettera sull’aborto). “Dio plasmò una donna con la costola che aveva tolta all’uomo” (Genesi, 2, 23).
La fantasia contronatura della generazione indipendente dalla donna si tova in diversi personaggi della letteratura: Giasone nella Medea di Euripide, il protagonista eponimo dell’Ippolito di Euripide, Rodomonte nell’Orlando furioso, Adamo del Paradise lost di Milton il quale si chiede perché il Creatore, che ha popolato il cielo di alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra questa novità, questo grazioso difetto di natura ( this fair defect of Nature ) e non ha riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato un altro modo per generare l'umanità ("or find some other way to generate Mankind? ", X, 888 e sgg.).-
Torniamo alla Fallaci del 1975.
La donna incinta dice al figlio: “Cosa credi che sia: un contenitore, un barattolo dove si mette un oggetto da custodire? Sono una donna, perdio, sono una persona….Ti faccio una concessione: ingrasso, ti regalo il mio corpo. Ma la mia mente no…” Quanto al padre: “ Poveretto. Non è colpa sua, hanno raccontato anche a lui che Dio è un vecchio con la barba bianca, che Maria era un’incubatrice, che senza Giuseppe non avrebbe trovato nemmeno una stalla, che ad accendere il fuoco fu Prometeo ( Lettera a un bambino mai nato, p. 58. )
La donna incinta, ripreso il lavoro, ne ricava un certo ottimismo: rinnega l’identità precedente: “una specie di Elettra sempre vestita di nero…Saremo felici insieme perché, in fondo, sono un bambino anch’io” (p. 66). L’uomo, se si sottomette, diventa quasi accettabile: “Un uomo che accetta di farsi cacciare come lo cacciai io non è uomo da buttar via…Mi ha commosso. Sono un vigliacco, ammette, perché sono un uomo; però devo essere assolto perché sono un uomo” (p. 67).
La donna è l’eroe che non cede, l’uomo è un vigliacco.
Dopo la morte del feto causata dagli strapazzi lavorativi, la madre mancata sogna un processo. Parlano dei personaggi che sono nello stesso tempo giurati, testimoni e giudici. L’accusa del dottore colpevolista è meno efficace della difesa sostenuta dalla dottoressa innocentista: “Scommetto che il mio collega è stato alla guerra…Non conosco infanticidio peggiore della guerra: la guerra è un infanticidio di massa, rinviato di vent’anni” (p. 82). E’ una bella condanna della guerra. Peccato che decenni dopo la Nostra abbia approvato gli scempi delle guerre volute dai più forti.
Il padre del feto abortito vota la colpevolezza, e l’amica della protagonista lo aggredisce, quindi inveisce contro il dottore. La razza dei maschi è abominevole, vile, ipocrita: “A qualsiasi donna chiedete di farvi da mamma: perfino se è vostra figlia” (p. 85). Colpevolista è il Commendatore, il datore di lavoro. I genitori la assolvono.
Quindi parla il bambino che afferma di essersi suicidato perché la madre, sua madre non credeva nella vita. Però la perdona: “mamma. Non piangere. Nascerò un’altra volta” (p. 92). Non è vero: “Tutti gli spermii e tutti gli ovuli della terra uniti in tutte le possibili combinazioni non potrebbero mai creare di nuovo te, ciò che eri e che avresti potuto essere. Tu non rinascerai mai più. Non tornerai mai più” (p. 92).
Poi le scrive il padre del bambino mai nato. La frase chiave è: “tu non sei stanca perché sei l’apoteosi del dubbio” (p. 95). Di nuovo la santa presenza del dubbio: il dubbio non va eliminato come deleterio, anzi:"Togli il dubbio, il dubbio su me stesso, sulla mia identità, sul mio sapere, e non mi resterà che il già fatto e il già detto" .
C’è una poesia di B. Brecht che costituisce un inno in lode del dubbio: “Sia lode al dubbio!...Oh bello lo scuoter del capo/su verità incontestabili!/Oh il coraggioso medico che cura/l’ammalato senza speranza!...Sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai…Tu, tu che sei una guida, non dimenticare/che tale sei, perché hai dubitato/delle guide! E dunque a chi è guidato/permetti il dubbio!” .
La donna si fa coraggio con le tante cose che ha ancora da fare: “Ho da sviluppare la mia carriera, ad esempio, e dimostrare che non sono meno brava di un uomo. Ho da battermi contro la comodità dei punti esclamativi, ad esempio, ho da indurre la gente a porsi più perché…e convincere me stessa che il dolore non è il sale della vita. Il sale della vita è la felicità, e la felicità esiste: consiste nel darle la caccia…la vita è straordinaria. Rimargina le ferite a una velocità folle” (p. 97). Quindi, per non essere da meno di un uomo, anzi di un vero macho : “E magari chiamo tuo padre o non importa chi, e vado a letto con lui stasera: ne ho abbastanza della castità” (p. 97). Nell’ultimo capitolo il feto estratto si trova in un bicchiere e sembra un uovo. La donna prova a incolparlo di debolezza perché ha ceduto, perché non era fatto per la vita: “Dovevi combattere, vincere. Hai ceduto troppo presto, ti sei rassegnato troppo alla svelta: non eri fatto per la vita…Eri simile a tuo padre: lui trova comodo riposarsi in Dio, tu trovasti comodo riposarti non nascendo. Chi di noi due ha tradito? Non io. Sono molto stanca, non sento più le gambe, a intervalli mi si annebbiano gli occhi e il silenzio m’avvolge come un ronzio di vespe. Eppure non cedo, io, guarda. Tengo duro, io, guarda” .
” (p. 99).
L’eroe che non cede mai, Achille, Elettra, Alessandro Magno, la donna (di) Oriana Fallaci.
Achille sceglie la vita breve e gloriosa dicendo : "ouj lhvxw "( Iliade , XIX, 423), non cederò, in risposta alla predizione di morte del cavallo fatato Xanto.
Tale è anche l'Elettra di Sofocle:"ejgw; me;n ou\n oujk a[n pot j …touvtoi" uJpekavqoimi " ( Elettra, v. 359 e v. 361), io certo non potrei piegarmi a questi. La sorella Crisotemi viceversa vorrebbe indurla a cedere ai forti (toi'" kratou'si d'' eijkaqei'n, v. 396).- Alessandro Magno che, pur seriamente ferito non smetteva di creare il mito di se stesso drammatizzandosi, disse a Cratero che lo pregava di rischiare meno, soprattutto combattendo contro nemici mediocri: “Ego vero non deero et, ubicumque pugnabo, in theatro terrarum orbis esse me credam” (Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni, 9, 6, 21), io comunque non cederò, e dovunque combatterò, mi crederò nel teatro del mondo. Alla fine c’è l’affermazione e l’apoteosi della vita: “Perché la vita non muore”. Sono le ultime parole. Anche tu, Oriana Fallaci, non sei morta del tutto. Ho dedicato un sabato pomeriggio di pioggia (16 settembre 2006) a leggerti e a commentarti.
“ L’antropologa Margaret Mead racconta in modo vivido come in certe tribù arcaiche le donne si dedichino alla pesca e alla caccia intanto che i loro uomini badano ai figli….Il papa Ratzinger ha aperto l’era dell’anti-relativismo e noi vorremmo ribadire che il relativismo è alla base della scienza moderna” ( i giorni di Antigone, p. 63). Il relativismo è anche alla base della cultura greca.
Commento.
Erodoto che ama rilevare le diversità degli usi dei vari popoli nota, non senza la santa tolleranza, che gli Egiziani, conformemente al clima diverso e al fiume differente dagli altri, hanno costumi e leggi contrari a quelli degli altri uomini:" ejn toi'si aiJ me;n gunai'ke" ajgoravzousi kai; kaphleuvsi, oiJ de; a[ndre" kat j oi[kou" ejovnte" uJfaivnousi" (II, 35, 2), presso di loro le donne vanno al mercato e trafficano, gli uomini invece tessono stando in casa. Con questo Erodoto non propone di massacrare gli Egiziani per liberare le loro donne.
Non vedo perché le donne islamiche, come tante delle nostre, dovrebbero girare, nelle spiagge e in televisione, con il filo dentario tra le chiappe. Non mi sembrano più libere queste di quelle, nemmeno più sexy.
La pietà di Antigone davanti a quei corpi.
Un poco di pudore di fronte ai morti (i giorni di Antigone , p. 55).
Commento
Aggiungo che sarebbe sempre e comunque necessario un poco di pudore in più. Anche davanti ai vivi.
Il pudore è considerato da Esiodo uno dei pilastri del vivere umano e civile: nelle Opere il poeta afferma che nell'ultima fase dell' empia età ferrea gli uomini nasceranno con le tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181) oltraggeranno i genitori che invecchiano, useranno il diritto del più forte, la giustizia starà nelle mani (divkh d j ejn cersiv , v. 192) e se ne andranno Cavri" , Gratitudine, Aijdwv" Pudore e Rispetto , Nevmesi" , lo Sdegno; quindi non vi sarà più scampo dal male "kakou' d j oujk e[ssetai ajlkhv" (v. 201).
Altrettanta forza, se non anche di più, ha il Pudore nella cultura latina:"Pudor è il senso morale per cui si prova scrupolo e ripugnanza davanti a tutto ciò che nega i valori morali e religiosi. E' affine all' aijdwv" dei Greci, ma ha vitalità molto maggiore: la Pudicitia era una divinità oggetto di un culto importante; al culto della Pudicitia patricia la plebe aveva affiancato e contrapposto un culto della Pudicitia plebeia " . Valerio Massimo nel proemio del VI libro invoca la Pudicitia:"virorum pariter ac feminarum praecipuum firmamentum ", solido fondamento nello stesso tempo per donne e uomini. Ella appunto è stata onorata come una dea:"Tu enim prisca religione consecratos Vestae focos incolis, tu Capitolinae Iunonis pulvinaribus incubas… ", tu infatti abiti i focolari consacrati a Vesta dall'antico culti, tu giaci sui cuscini di Giunone Capitolina.
L' aijdwv" è un valore che nel buon tempo antico era condiviso dagli uomini e dalle donne.
L'Elettra di Sofocle proclama con un piglio simile a quello di Antigone che andrebbero in malora il rispetto e la pietà di tutti i mortali (e[rroi t ' a]n aijdw;"- aJpavntwn t ' eujsevbeia qnatw'n, Elettra, vv. 249-250) se il morto, essendo polvere e nulla, giacerà negletto e gli assassini non pagheranno il fio.
L'Antigone delle Fenicie di Euripide prova pudore davanti ai vivi: si vergogna di esporsi agli occhi della folla:"aijdoumeq' o[clon" (v. 1276) e per questo oppone resistenza alla madre che le chiede di mettere pace tra i fratelli determinati a duellare .
Il coro di donne calcidesi dell’Ifigenia in Aulide conclude il III stasimo che rievoca le nozze di Tetide e Peleo dalle quali sarebbe nato il nobile Achille con un lamento sulla fine della civilà del pudore e della virtù: “pou' to; ta'" Aijdou'"-h] to; ta'" jAreta'" e[cei-sqevnein ti provswpon;” (vv. 1089-1091), dov’è che ha qualche forza il volto del Pudore o quello della Virtù?
Il consumo si fa etica?
Bisognerebbe cominciare a diffondere l’idea che “esistono altre ricchezze che non si perdono quando sono distribuite ai più, anzi si accrescono nello scambio e nella diffusione: il sapere per esempio, la cultura, gli affetti, l’amicizia, il senso della comunità” (i giorni di Antigone , p. 61).
Commento. Amore e umanesimo.
Legge naturale e personale per Antigone è l'inclinazione ad amare (cfr. v. 523 già citato), mentre il bando di Creonte è un editto di odio. La fuvsi" di Antigone non riconosce come naturale il khvrugma di Creonte.
Seneca afferma la naturalezza e la necessità dell'amore reciproco nell'Epistola 95:" natura nos cognatos edidit, cum ex isdem et in eadem gigneret; haec nobis amorem indidit mutuum et sociabiles fecit. Illa aequum iustumque composuit; ex illius constitutione miserius est nocere quam laedi, ex illius imperio paratae sint iuvandis manus. Ille versus et in pectore et in ore sit:
homo sum, humani nihil a me alienum puto .
Ita habeamus: in commune nati sumus. Societas nostra lapidum fornicationi simillima est, quae, casura nisi in vicem obstarent, hoc ipso sustinetur" ( 95, 52, 53), la natura ci ha messi alla luce legati da parentela, poiché ci ha fatto nascere dai medesimi elementi e per i medesimi scopi; questa ci ha messo dentro un amore reciproco e ci ha reso socievoli. Essa ha disposto l'equità e la giustizia; secondo il suo ordinamento è più deplorevole recare danno che riceverlo , in conseguenza dei suoi ordini le mani siano pronte per quelli che hanno bisogno di aiuto. Ci stia sempre nel cuore e in bocca quel verso famoso:
sono uomo, e non mi sento ostile a nulla di umano.
Facciamo questa considerazione: siamo nati per metterci a disposizione. La nostra società è molto simile a una volta di pietre che, destinata a cadere se non se lo impedissero a vicenda, proprio da questo fatto è tenuta in piedi.
Ma la ricerca della voluptas ha capovolto questo fatto naturale:"Homo, sacra res homini, iam per lusum ac iocum occiditur" (95, 33), l'uomo, cosa sacra per l'uomo, oramai viene ucciso per gioco e per scherzo.
L'Antigone di Brecht afferma, come quella sofoclèa, di vivere per l'amore, non per l'odio, e al tiranno, che l'accusa di non vedere "il divino ordinamento dello Stato", ribatte:"Sarà divino, ma lo vorrei piuttosto/Umano, figlio di Meneceo, Creonte".
La legge naturale dell'amore è così forte che la sente anche la parte buona di Edipo "tiranno":" ajll j eij povlin thvnd j ejxevsws j, ouj moi mevlei" (Edipo re , v. 443), ma se ho salvato questa città, non mi importa. Sull'amore umanistico, sull'amore per l'umanità e per la vita, ha scritto parole sante E. Fromm:"In realtà, esiste soltanto l'atto di amare ; e amare è un'attività produttiva, che implica l'occuparsi dell'altro, conoscere, rispondere, accettare, godere, si tratti di una persona, di un albero, di un dipinto, di un'idea. Significa portare la vita, significa aumentare la vitalità dell'altro, persona od oggetto che sia. E' dunque un processo di autorinnovamento, di autoincremento" .
In un altro libro lo psicoanalista sostiene che "Antigone rappresenta l'umanità e l'amore; Creonte, il despota totalitario, l'idolatria dello stato e l'ubbidienza" .
Inoltre:"Esiste un umanesimo greco, al quale dobbiamo opere come l'Antigone di Sofocle, una delle più alte tragedie ispirate a quest'atteggiamento; in essa, Antigone rappresenta l'umanesimo e Creonte le leggi disumane che sono opera dell'uomo" .
Un'altra espressione di umanesimo è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo nell'Edipo a Colono : "e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), so di essere un uomo. E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile. Il sapere di essere uomo che cosa comporta? Significa incontrare una creatura mezza distrutta come è Edipo vecchio, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande, ascoltarne le risposte:"kaiv s j oijktivsa"-qevlw jperevsqai, duvsmor j Oijdivpou, tivna-povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j e[cwn", vv. 556-558, e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui. Poi significa ascoltare e comprendere con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io-dice il re di Atene al mendicante cieco-sono stato allevato fuggiasco come te"(vv.562-563)."Dunque so di essere uomo e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv. 567-568).
E' una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età ellenistica e partorirà l'humanitas latina sintetizzata dal verso di Terenzio citato da Seneca.
"Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti" sono le prime parole del Decameron.
Anche Oblomov di Goncarov nega valore all'intelligenza che non comprende l'umanità:"Voi credete che il pensiero possa fare a meno del cuore. No, il pensiero è reso fecondo dall'amore. Tendete la mano all'uomo caduto per sollevarlo, o piangete lacrime amare su di lui, se egli è finito, ma non lo schernite. Amatelo, riconoscete voi stesso in lui e trattatelo nel modo in cui trattereste voi stessi"(p.53).
Bisognerebbe diffondere e inculcare queste sentenze morali invece di quelle astute e ingannevoli della pubblicità. Bisognerebbe fare propaganda in favore della sapienza più che del sapere: "to; sofo;n d j ouj sofiva" (Euripide, Baccanti , v. 395), il sapere non è sapienza. La sapienza si tuffa nel fiume della vita. Il sapere al contrario è il fine dell'uomo teoretico il quale "non osa più affidarsi al terribile fiume dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva” . Pindaro nell’ Olimpica IX afferma che il sapere, essendo scosceso (sofivai menv-aijpeinaiv, 107-108), comprende la forza della natura.
La riforma della scuola e il ministro Moratti contromano in autostrada
“La sua bella faccia di donna controllata, educata, che rivela grandi tradizioni familiari” (I giorni di Antigone, p. 65).
Commento. “Giacché lo stile….è un problema non di tecnica, bensì di visione” .
Certe persone nobili e antiche, anche quando sbagliano, perfino quando muoiono, ma auguro lunga vita a Letizia Moratti, o perdono una battaglia, conservano la loro dignità. Non sono mai snob.
La persona bene educata, formata bene, non rinuncia al proprio stile neppure se si trova in vista della catastrofe. Quando Ismene, la sorella “mite” cerca di mettere in guardia Antigone: “ se pure ce la farai, ma sei innamorata dell’impossibile” (v. 90) , la ragazza eroica ribadisce la propria disponibilità a morire, pur di non perdere né sconciare la propria identità: “ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nobilmente (kalw'~, vv. 95-97).
La principessa troiana Polissena nella tragedia Ecuba di Euripide dice alla madre: per chi non è abituato a mali oltraggiosi è meglio morire: "to; ga;r zh'n mh; kalw'" mevga" povno"" (v.378), infatti vivere senza bellezza è un grande tormento.
Alcuni suggerimenti per la scuola futura. Contro ogni ipertecnicismo.
Il necessario idealismo dei ceti colti.
"Io, che in genere amo così fervidamente tutto ciò che è nuovo e rivoluzionario, in questo sono senz'altro retrivo, e dai ceti colti pretendo un certo idealismo, una certa disposizione a discutere e a capire del tutto indipendentemente da ogni vantaggio materiale, insomma un resto di umanesimo, anche se so che quest'umanesimo, in realtà, ha cessato di esistere e che tra poco anche la sua apparenza esterna non si troverà più se non nei musei delle figure di cera" .
Bisogna comunque lottare perché la sostanza dell'umanesimo rimanga nella scuola italiana. E non solo nella scuola: "Si sa o si intuisce che quando il pensiero non è puro e vigile, quando la venerazione dello spirito non è più valida, anche le navi e le automobili incominciano presto a non funzionare, anche il regolo calcolatore dell'ingegnere e la matematica delle banche e della borsa vacillano per mancanza di valore e di autorità, e si cade nel caos (…) Erano tempi feroci e violenti, tempi caotici e babilonici nei quali popoli e partiti, vecchi e giovani , rossi e bianchi non s'intendevano più. Andò a finire che, dopo sufficienti salassi e un grande immiserimento, sempre più forte si fece sentire il desiderio di rinsavire, di ritrovare un linguaggio comune, un desiderio di ordine, di costumatezza, di misure valide, di un alfabeto e di un abbaco che non fossero dettati dagli interessi dei grandi, né venissero modificati a ogni piè sospinto. Sorse un bisogno immenso di verità e giustizia, di ragionevolezza, di superamento del caos" . La scuola può aiutare i giovani a trovare la strada di questo superamento. Deve farlo: “E’ in stato di rovina l’economia-quella delle nazioni e quella teorica. E’ in stato di rovina, infine, e di grave rovina, perfino la femminilità” .
“Concepito in modo solo tecnico-economico, lo sviluppo a breve termine è insostenibile. Abbiamo bisogno di un concetto più ricco e complesso dello sviluppo, che sia nello stesso tempo materiale, intellettuale, affettivo, morale…Il XX secolo non è uscito dall’età del ferro planetaria, vi è sprofondato” . L’ingrandimento solo materiale, l’ingrossamento, è quello che Pasolini chiamava sviluppo senza progresso:" E' in corso nel nostro paese…una sostituzione di valori e di modelli, sulla quale hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di massa e in primo luogo la televisione. Con questo non sostengo affatto che tali mezzi siano in sé negativi: sono anzi d'accordo che potrebbero costituire un grande strumento di progresso culturale; ma finora sono stati, così come li hanno usati, un mezzo di spaventoso regresso, di sviluppo appunto senza progresso, di genocidio culturale per due terzi almeno degli italiani" .
I ragazzi di Locri contro il solito silenzio. (I giorni di Antigone, p. 67)
Orribile la notizia dell’assassinio di Fortugno….Bellissima la reazione dei giovani calabresi di questi giorni (p. 67). E’ necessario ridare fiato a quella giustizia che aveva cominciato a funzionare in Sicilia contro la mafia… (p. 68)
Commento. Una splendida scuola di Calabresi.
La stupidità, per farsi rispettare, inventò l’ingiustizia” . E, aggiungo, la confusione, la complicazione inutile.
La scuola deve insegnare il rispetto, il ritegno, e pure la giustizia, non solo personale ma anche politica: nel Protagora di Platone il sofista racconta che gli uomini commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun ajllhvlou" ) in quanto non possedevano l'arte politica (a{te oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Senza questa, che deve essere fondata sul rispetto e sulla giustizia, gli umani si disperdevano e perivano: allora Zeus temendo l'annientamento della nostra specie mandò Ermes a portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini delle città: " JErmh'n pevmpei a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi" (322c).
A proposito dei giovani calabresi, devo dire che sono stato un paio di volte a tenere una conferenza nel liceo classico Galluppi di Catanzaro invitato dal dirigente scolastico, l’amico professor Armando Vitale che da qualche anno organizza il Gutenberg, un convegno di altissimo livello, e ci ho trovato una gioventù motivata a imparare, e di fatto molto preparata, sicuramente non meno di quella dei migliori licei dell’Emilia-Romagna.
Armi chimiche a Falluja. (I giorni di Antigone, p. 70)
Hanno perso il senso della misura e della giustizia, pur di vincere per vincere.
Commento. la dismisura generalmente viene coniugata con l' u{bri" che "significa dismisura demenziale" ,
La forma pessima e più odiosa di dismisura è la guerra.
Bisognerebbe arrivare a considerare la guerra come un tabù, un vetitum almeno quanto l’incesto.
Nella letteratura antica c’è un tovpo~ politico ed etico che maledice la guerra. Massime in Sofocle il poeta religiosissimo che depreca Ares come il "senza misura"(to;n malerovn, Edipo re, v.190) e come “il dio disonorato tra gli dèi”(v.215). L'esecrazione di Ares del resto è già arcaica: Omero nell'Iliade (5, 890) lo fa apostrofare da Zeus con queste parole:" e[cqisto" dev moiv ejssi qew'n oi} [Olumpon e[cousin", tu per me sei il più odioso tra gli dei che abitano l'Olimpo.
Il senso della misura.
In fondo la differenza tra Caos e Cosmo è data dal sorgere della misura.
La formulazione più chiara e sintetica è quella del Solone di Plutarco. Quando Creso, il pacchiano re barbaro gli fece vedere i suoi cospicui tesori e gli chiese se conoscesse qualcuno più felice di lui, nominò personaggi non famosi e non ricchi, ma "belli e buoni". Allora Creso lo giudicò strambo (ajllovkoto") e zotico (a[groiko"), tuttavia volle domandargli se lo mettesse in qualche modo nel novero degli uomini felici. Il legislatore ateniese quindi rispose: "Ai Greci, o re dei Lidi, il dio ha dato di essere misurati (metrivw" e[cein e[dwken oJ qeov"), e per questa misuratezza ci tocca una saggezza non arrogante ma popolare, non regale né splendida " . Erodoto e Sofocle, in quanto seguaci della religione delfica del nulla di troppo, condannano spesso la dismisura. Diamo la formula del Secondo Stasimo dell'Antigone:" Sia nel tempo prossimo sia nel futuro/come nel passato avrà vigore/ questa legge: nulla di smisurato/ si insinua nella vita dei mortali senza rovina (ejkto;" a[ta")" (vv. 611-614). Anche il "sacrilego" Euripide considera santo questo valore:"ajcalivnwn stomavtwn-ajnovmou t j ajfrosuvna"-to; tevlo" dustuciva", cantano le Menadi nel primo Stasimo ( Baccanti, vv. 387-389), di bocche senza freno, di stoltezza senza misura, il termine è sventura.
Il Coro della Medea nella prima strofe del secondo stasimo biasima l'eccesso anche nel campo erotico:"Gli Amori che arrivano all'eccesso (a[gan) non procurano/buona reputazione né virtù agli uomini: ma se Cipride/giungesse/con moderazione (a{li" ), nessun'altra dea sarebbe così gradevole./Non scagliare mai, o signora, contro di me dal tuo arco d'oro/il tuo dardo inevitabile dopo averlo intinto di desiderio (vv. 627-635).
Nietzsche mette in rilievo il valore della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico" .
Ebbene, tale misura è quella delfica del "nulla di troppo" e del "conosci te stesso"; è l'ingrandimento dell'Io a spese dell'Es, che, per dirla con Freud, va bonificato al pari di una palude:"Rafforzare l'Io rendendolo più indipendente dal Super Io, ampliare così il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell'Es, è il compito della psicoanalisi: dove era l'Es deve subentrare l'Io. E' un'opera di civiltà, come, ad esempio, il prosciugamento dello Zuiderzee" . Viceversa, come scriveva Oscar Wilde In carcere et vinculis :" Il vero stolto, quello che gli dèi scherniscono o riducono in rovina, è colui che non conosce se stesso" .
Perfino nel vestire la via di mezzo è la migliore. Cicerone consiglia una semplicità elegante al suo gentiluomo quando pone le basi del galateo nel De officiis “: quae sunt recta et simplicia laudantur. Formae autem dignitas coloris bonitate tuenda est, color exercitationibus corporis. Adhibenda praeterea munditia est non odiosa nec exquisita nimis, tantum quae fugiat agrestem et inhumanam neglegentiam. Eadem ratio est habenda vestitus, in quo, sicut in plerisque rebus, mediocritas optima est “ ( I, 130), viene lodata la naturalezza e la semplicità. Ora la dignità dell’aspetto deve essere conservata mediante il bel colore dell’incarnato, il colore con gli esercizi fisici. Inoltre deve essere impiegata un’eleganza non sfacciata né troppo ricercata, basta che eviti la trascuratezza contadinesca e incivile. Lo stesso criterio si deve adottare nel vestire dove, come nella maggior parte delle cose, la via di mezzo è la migliore.
Anche Seneca suggerisce la via di mezzo:”non splendeat toga, ne sordeat quidem” (Epist., 5, 3), non brilli la toga, ma neppure sia sudicia. Gli atteggiamenti estremi possono riuscire “ridicula et odiosa” (5, 4). Il proposito del filosofo stoico è vivere secondo natura:”Nempe propositum nostrum est secundum naturam vivere: hoc contra naturam est, torquere corpus suum et faciles odisse munditias et squalorem adpetere et cibis non tantum vilibus uti sed taetris et horridis. Quemadmodum desiderare delicatas res luxuriae est, ita usitatas et non magno parabiles fugere dementiae. Frugalitatem exigit philosophia, non poenam ; potest autem esse non incompta frugalitas” (5, 4-5), evidentemente il nostro progetto è vivere secondo natura: è contro natura questo tormentare il proprio corpo e odiare l’eleganza a portata di mano, e cercare lo squallore e fare uso di cibi non solo a buon mercato ma disgustosi e ripugnanti. Come è segno di dissolutezza desiderare le raffinatezze, così è segno di pazzia evitare i beni comuni e procurabili a prezzo non grande. La filosofia reclama la moderazione non la tortura; del resto la moderazione può essere non disadorna.
Pure il mulierosus Ovidio cui pure piace assai il cultus, la cura della persona, suggerisce la via di mezzo: “ nelle sue oscillazioni poco tormentate si ferma alla proposta di un cultus misurato che eviti gli eccessi del lusso e, nello stesso tempo, di una raffinatezza dannosa. Per l’uomo egli rifiuta un trattamento dei capelli e della pelle che lo renda simile agli eunuchi servitori di Cibele (Ars I 505 sgg.): l’ideale virile è un equilibrio fra la mundities e la robustezza data dagli esercizi del Campo Marzio (ibid. 513 sg.): Munditiae placeant, fuscentur corpora Campo;/sit bene conveniens et sine labe toga . Dunque, né rusticitas né effemminatezza” . L’eleganza piaccia, siano abbronzati i corpi al Campo Marzio ; la toga stia bene e sia senza macchie (vv. 511-512).
Il quarto coro dell’Oedipus di Seneca raccomanda di evitare ogni eccesso:” Quidquid excessit modum,/pendet instabili loco “ (vv. 909-910), tutto ciò che ha oltrepassato la giusta misura, vacilla su un appoggio instabile.
Il ministro Castelli così assurdo e inumano sul caso Sofri.
Il tempo lenisce, cura, trasforma, rielabora, fa nascere erbe nuove in animi bui e abbandonati (I giorni di Antigone, p. 73).
Commento. Il tempo funzioni e valori.
Teognide consiglia di prendere tempo prima di elogiare qualcuno poiché molti si camuffano, però la finzione dura poco: “touvtwn d j ejkfaivnei pavntw" crovno" h\qo" ejkavstou” (Silloge, 967), di ciascuno di questi il tempo in ogni modo rivela il carattere.
Pindaro nell' Olimpica I indica il tempo come giustiziere saggio: " aJmevrai d j ejpivloipoi-mavrture" sofwvtatoi"(vv.33-34):", i giorni a venire sono i testimoni più sapienti. Nell'Olimpica II “Crovno" oJ pavntwn pathvr” (v. 17), Tempo, il padre di tutto, non può tuttavia modificare l'effetto del passato. Nel fr.159 il lirico tebano afferma comunque:"ajndrw'n dikaivwn crovno" swth;r a[risto"”, degli uomini giusti il tempo è il salvatore ottimo.
Il tempo quale entità che rende giustizia agli onesti è invocato da Creonte ingiustamente accusato nell' Edipo re :"Ma nel tempo conoscerai questo con sicurezza poiché/soltanto il tempo rivela l'uomo giusto (crovno" divkaion a[ndra deivknusin movno");/il malvagio invece puoi conoscerlo anche in un giorno solo"(vv. 613-615).
Il tempo secondo Seneca è l'unico bene di cui la natura ci ha dotati, e pure precariamente. Sicché dobbiamo difenderne la proprietà e il diritto di uso con tutte le forze:"Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est; in huius rei unius fugacis ac lubricae possessionem natura nos misit, ex qua expellit quicumque vult " (epist., 1, 3), tutto quanto è roba degli altri, soltanto il tempo è nostro; la natura ci ha messi in possesso di questo solo bene che fugge e scivola via, e da questo ci sbatte fuori chiunque vuole.
Il tempo per Seneca è dopo tutto lo stato d'animo di ciascun uomo.
Su questa linea Agostino definisce il tempo "distentionem…ipsius animi" , un'estensione proprio dell'animo.
Bosnia, quei carnefici che assomigliano alle vedove delle vittime.
L’identità, per molti, troppi forse, oggi si costruisce sulla viole
nza e la sopraffazione (I giorni di Antigone, p. 80).
Commento. L’identità.
L'uomo formato sui classici non può accontentarsi di un'identità gregaria, imposta, il più delle volte, dalla violenza subdola del conformismo che ora per i più viene diffuso e prescritto dall’astuzia pubblicitaria. L’identità dei più è fatta di luoghi comuni, del “si dice, si pensa”
Facciamo un esempio: Creonte domanda ad Antigone:"E tu non ti vergogni se la pensi in maniera diversa da questi?", e la ragazza risponde: “No perché non è per niente vergognoso onorare quelli nati dalle stesse viscere” . La propaganda di ogni tirannide tende a inculcare la necessità del conformismo. Creonte sa che i più sono capaci soltanto di un'identità gregaria basata su un sentimento di appartenenza alla massa. Ma la figlia di Edipo è di altra stoffa, e, ben lontana dal vergognarsi, è fiera della propria diversità. Per lei anzi è inconcepibile che ci sia gente pronta "a rinunciare alla libertà, a far sacrificio del proprio pensiero, per essere uno del gregge, per conformarsi e ottenere così un sentimento di identità, benché illusorio" .-
"Della nostra esistenza dobbiamo rispondere a noi stessi, di conseguenza vogliamo agire come i reali timonieri di essa e non permettere che assomigli ad una casualità priva di pensiero…E' così provinciale obbligarsi a delle opinioni che, qualche centinaio di metri più in là già cessano di obbligare…Al mondo vi è un'unica via che nessuno oltre a te può fare: dove porta? Non domandare, seguila" .
Quelli che parlano per luoghi comuni “hanno sempre ragione. E forse il mondo è così inconcepibilmente ignobile e senza speranza proprio perché il luogo comune è infallibile, e solo il genio e l’artista hanno il coraggio di sbeffeggiarlo, di mettere in luce quanto in esso vi sia di morto, di contrario alla vita… .
Si pensi a Bruno Vespa che poche ore dopo la strage della Banca dell’Agricoltura del dicembre 1969, disse a un telegiornale: “Valpreda dunque è un colpevole”. E fece carriera. All’epoca chi diceva: “ a parte tutto, non credo che quel disgraziato ballerino sia stato in grado di organizzare un massacro del genere” era visto di malocchio quale pericoloso estremista e, se insegnava, rischiava sanzioni. Poi la storia ha sbugiardato Vespa che tuttavia ha continuato a ripetere i luoghi comuni funzionali al potere e a fare carriera.
Autorizzo questa mia conclusione attraverso Seneca:"nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del fatto di regolarci secondo il "si dice". Bisogna sempre cercare di vivere "ad rationem ", ragionando, piuttosto che "ad similitudinem " imitando.
Ancora Seneca che traduce Epicuro: “si ad naturam vives, numquam eris pauper; si ad opiniones, numquam eris dives” (ep. 16, 7), se vivrai secondo la natura, non sarai mai povero, se secondo i luoghi comuni, non sarai mai ricco.
“Non c’è nulla che mi faccia perdere la calma come vedere venire avanti uno con un luogo comune insignificante, quando io parlo con il cuore in mano” .
“Il bruto è più tenace servo dell’assuefazione” .
Parole inglesi e italiano.
Gli snob (preciso che la parola snob non viene dall’inglese come mi ha detto una studentessa giorni fa, ma dal latino sine nobilitatis ( I giorni di Antigone, p. 85) (ovvero: sine nobilitate).
Commento.
Proust: Bloch era uno snob: “ciò che si chiama la mala educazione era il suo difetto capitale, e quindi il difetto di cui non si accorgeva…Bloch era maleducato, nevrastenico, snob” (All’ombra delle fanciulle in fiore, p. 344). Saint Loup aveva “un modo di concepire le cose per il quale non si fa più conto di sé, e moltissimo del “popolo”; insomma, tutto l’opposto dell’orgoglio plebeo…Lui, in ogni circostanza, faceva quel che gli riusciva più gradevole, più comodo, ma immediatamente gli snob lo imitavano” (p. 351). Snobismo dunque è mala educazione e l’orgoglio plebeo di chi disprezza il popolo.
Paura di essere violentate.
Abbiamo introiettato un’educazione che ci vuole deboli e soggette, inerti e rassegnate (I giorni di Antigone, p. 171).
Commento. La paura della donna (genitivo soggettivo e oggettivo).
Nell’Antigone di Sofocle, Ismene, la sorella mite, dice:"invece bisogna riflettere su questo: che siamo/ due donne, ossia non atte a combattere contro gli uomini". E poi, siccome siamo dominate da gente più forte,/è necessario obbedire sia a questi, sia a decreti ancora più dolorosi di questi" (vv.61-64).
Sulla "mascolinità" di Antigone e la natura femminea di Ismene sentiamo Steiner:" Agendo per un uomo e, nella prospettiva delle convenzioni sociali e politiche in vigore, come un uomo, Antigone mostra alcuni tratti maschili. Il fatto che Ismene usi più volte il verbo fuvw, che rimanda direttamente all'"ordine naturale", evidenzia un'opposizione. Ismene è "per natura" e "nella sua stessa fuvsi"" un essere assolutamente femminile. I suoi terrori, il suo insistere sulla sua debolezza fisica di fronte al compito che Antigone vorrebbe assegnarle, gli slanci di avventata comprensione, compassione e angoscia a cui cede quando il disastro si intravede, tutto ciò viene definito nella tragedia come "femminile" .
Nell'Elettra sofoclea Crisotemi fa una parte che, grosso modo, corrisponde a questa di Ismene: la protagonista eponima, che ha il carattere forte di Antigone e vuole opporsi alla prepotenza della madre e del suo amante Egisto, la rimprovera di acquiescenza o anche di complicità nei confronti degli usurpatori: non insegnarmi ad essere malvagia con i nostri cari, le dice; e la debole risponde: non ti insegno questo:"toi'" kratou'si d' eijkaqei'n" (v. 396), ma a cedere a quelli che sono al potere.
E’ la paura più o meno giustificata della donna che consiglia ai maschi, i quali la temono, di tenerla sottomessa.
Sulla necessaria sottomissione della donna, al fine del resto di tenere sotto controllo una natura altrimenti intemperante, si esprime il Catone il vecchio di Tito Livio quando parla, nel 195 a. C., contro l'abrogazione della lex Oppia che, dal 215, imponeva un limite al lusso delle matrone le quali erano scese in piazza per manifestare a favore dell'annullamento di tale imposizione:" Maiores nostri nullam, ne privatam quidem rem agere feminas sine tutore auctore voluerunt, in manu esse parentium, fratrum, virorum...date frenos impotenti naturae et indomito animali et sperate ipsas modum licentiae facturas...omnium rerum libertatem, immo licentiam, si vere dicere volumus, desiderant " (XXXIV, 2, 11-14) i nostri antenati non vollero che le donne trattassero alcun affare, nemmeno privato senza un tutore, e che stessero sotto il controllo dei padri, dei fratelli, dei mariti...allentate il freno a una natura così intemperante, a una creatura riottosa e sperate pure che si daranno da sole un limite alla licenza...desiderano la libertà, anzi, se vogliamo chiamarla con il giusto nome la licenza in tutti i campi.
E' questa una delle tante espressioni ispirate dell'eterna paura che il maschio ha dell’altro sesso. Se ne trovano sia nella letteratura greca sia in quella latina :" quanto più l'uomo imprigiona la donna in casa e frequenta altri luoghi, tanto più schiacciante è il potere della donna fra le mura domestiche. La posizione sociale delle donne e la loro influenza psicologica sono dunque due cose del tutto distinte. Il disprezzo del maschio greco per le donne non solo era compatibile, ma anzi indissolubilmente legato alla paura di esse, e al tacito sospetto dell'inferiorità maschile. Altrimenti perché sarebbero state necessarie misure così estreme? Le usanze come quella che una moglie non doveva essere più vecchia del marito, o di posizione sociale superiore, o più colta, o in una posizione di autorità, tradiscono la convinzione che gli uomini non sono in grado di competere con le donne a livello di parità; le carte vanno prima truccate, l'uomo deve ricevere un vantaggio" . Come in una corsa a handicap dove l'handicappato è l'uomo. Lo afferma apertamente Marziale nella clausula di un suo epigramma:" Inferior matrona suo sit, Prisce, marito:/non aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3-4), la moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari.
Sentiamo una ripresa dostoevskijana di questo topos: “Ma non è forse vero che voi,” lo interruppe di nuovo Raskolnikov, con una voce tremante d’ira in cui si sentiva il gusto di offendere, “non è forse vero che alla vostra fidanzata…proprio nel momento in cui ricevevate il suo consenso…voi avete detto che più di tutto eravate lieto che fosse povera…perché è più vantaggioso togliere la moglie dalla miseria in cui vive, per poi poterla dominare…e poterle rinfacciare d’averla beneficata?” .
Il terrore della prepotenza femminile pervade diverse tragedie del teatro attico . La donna ateniese, se non contava nulla nella vita politica e cittadina, era di sicuro una presenza incombente sui figli, soprattutto sui maschi con i quali cercava una rivalsa:"il ripudio e il disprezzo delle donne significa il ripudio e il disprezzo della domesticità-della vita domestica e familiare, e quindi anche dell'allevamento dei bambini. Il maschio adulto ateniese rifuggiva dalla casa, ma ciò significava che il bambino ateniese cresceva in un ambiente dominato dalle donne" .
Probabilmente anche Vittorio Alfieri da bambino, nell’assenza del padre morto quando il figlio aveva un anno. I grandi pregi dell’unica donna degna del suo amore erano troppi per affrontarli subito.
Si tratta di Luisa Stolberg-Gedern, contessa d’Albany, maritata infelicemente con Carlo Eduardo Stuart, pretendente al trono d’Inghilterra, un alcolizzato che arrivò a tentare di ucciderla. Alfieri non la corteggiò né la frequentò subito: “Con tutto ciò, ancorché gran parte dei signori di Firenze, e tutti i forestieri di nascita da lei capitassero, io immerso negli studi e nella malinconia, ritroso e selvaggio per indole, e tanto più sempre intento a sfuggire tra il bel sesso quelle che più aggradevoli e belle mi pareano , io perciò in quell’estate innanzi non mi feci punto introdurre nella di lei casa; ma nei teatri e spasseggi mi era accaduto di vederla spessissimo. L’impressione prima me n’era rimasta negli occhi, e nella mente ad un tempo, piacevolissima.
Vediamo l’aspetto di questa creatura celestiale, perfetta.
Un dolce focoso negli occhi nerissimi accoppiatosi (che raro adiviene) con candidissima pelle e biondi capelli, davano alla di lei bellezza un risalto, da cui difficile era di non rimanere colpito e conquiso. Età di anni venticinque; molta propensione alle bell’arti e alle lettere; indole d’oro; e, malgrado gli agi di cui abondava, penose e dispiacevoli circostanze domestiche, che poco la lasciavano essere, come il dovea, avventurata e contenta. Troppi pregi eran questi, per affrontarli. (Vita, IV, 5).
Si può uscire dalla depressione?
E’ nella capacità di “ascoltare” di nuovo (e non solo con l’udito) che si può ritrovare il filo della propria vita ( I giorni di Antigone, p. 183).
Commento. Il dovere morale dell’ascolto.
L'attenzione, ossia "la pietà naturale dell'anima" , deve essere reciproca, e, da parte nostra, anche premurosa, incoraggiante, affettuosa : " Non reddere viro bono non licet " .
A proposito del precettore, Montaigne, dopo avere affermato di preferirlo con la testa ben fatta piuttosto che ben piena, aggiunge:"Non desidero che inventi e parli lui solo, desidero che ascolti il suo discepolo parlare a sua volta. Socrate e in seguito Arcesilao facevano prima parlare i loro discepoli, e poi parlavano loro" .
I ragazzi dopo qualche tempo smettono di ascoltare l'insegnante che non li ascolta. Fanno bene. Infatti chi non sa ascoltare è assimilabile ai ciarlieri biasimati da Plutarco nel De garrulitate: costoro, mentre vogliono essere amati, vengono odiati ( o{ti filei'sqai boulovmenoi misou'ntai 16, 510D) .
Il garrulus, loquax, il chiacchierone, vago di ciance pubblicitarie e di virtù nemico , afferma scherzosamente Orazio, può uccidere con più alta probabilità di pur terribili malattie :"hunc neque dira venena nec hosticus auferet ensis,/nec laterum dolor aut tussis, nec tarda podagra;/garrulus hunc quando consumet cumque: loquaces,/si sapiat, vitet, simul atque adoleverit aetas " , Questo né atroci veleni né spada nemica porterà via/né pleurite o tisi né la podagra che attarda;/un chiacchierone questo una volta o l'altra lo finirà: i ciarlieri/se ha giudizio, eviti, appena si sarà fatto adulto.
Le donne sono buone?
Sembra che, a furia di togliere tabù e proibizioni, si sia arrivati ormai alla confusione più completa ( I giorni di Antigone, p. 185).
Commento. Il male della confusione utile ai cretini e ai malvagi..
La confusione è la quintessenza del male e piace ai malvagi. Aristofane. Seneca. Eschilo. Erodoto. Proust. Gogol’. Shakespeare e Marx sul denaro che confonde.
Nei Cavalieri (424 a. C) di Aristofane il demagogo Cleone-Paflagone viene chiamato dal coro “w\ borborotavraxi” (v. 307), o mescola-fango; egli infatti si comporta come i pescatori di anguille i quali acchiappano le prede, solo se mettono sottosopra il fango,: “kai; su; lambavnei", h]n th;n povlin taravtth/" (v. 867), anche tu arraffi se scompigli la città, gli fa il salsicciaio durante il secondo agone.
E' un tema ricorrente nella Medea di Seneca. La navigazione ha unito quello che doveva restare separato guastando i candida…saecula (Medea, 329) dei padri. "Bene dissaepti foedera mundi/ traxit in unum Thessala pinus,/iussitque pati verbera pontum/partemque metus fieri nostri/mare sepositum" ( Medea, vv. 335-339), la nave tessala unificò le parti del cosmo separate da un recinto di leggi, e ordinò che il ponto patisse le frustate dei remi; e che il mare lontano divenisse parte della nostra paura. Il rischio è quello del ritorno al magma indifferenziato del caos. Infatti “il pretium huius cursus , il risultato del caos cosmico provocato dalla prima nave è Medea, emblema del caos etico " . Il mondo pervius ha aperto la via alla "confusion delle persone" .
E' la stessa u{bri" di Serse il quale tentò di trattenere con vincoli la sacra corrente dell'Ellesponto e di unificare ciò che deve restare diviso ( Eschilo, I Persiani, vv. 745-750). Ora si vuole esportare la democrazia con la guerra.
Proust ricorda questo episodio in La prigioniera e lo applica al suo sermo amatorius:" Eppure, non mi rendevo conto che già da un pezzo avrei dovuto staccarmi da Albertine, giacché era entrata per me in quel periodo miserando nel quale un essere disseminato nel tempo e nello spazio non è più per noi una donna, ma una serie di eventi sui quali non possiamo far nessuna luce, una serie di problemi insolubili, un mare che, come Serse, cerchiamo inutilmente di fustigare per punirlo di tutto quello che ha ingoiato" . Si tratta di un atto disperato compiuto nel buio e nella confusione da chi vuole congiungere entità che non possono esserlo (sunavyai ajduvnata ).
Nelle Anime morte di Gogol’ (1842) un farabutto suggerisce di confondere le idee per rendere impossibile il compito di fare giustizia: “Confondere, confondere: e nient’altro…introdurre nel caso nuovi elementi estranei, che coinvolgano altri, complicare e nient’altro. E che si raccapezzi pure il funzionario pietroburghese incaricato. Che si raccapezzi…Mi creda, appena la situazione diventa critica, la prima cosa è confondere. Si può confondere, aggrovigliare tutto così bene che nessuno ci capirà nulla” (p. 375).
Ancora a proposito di confusione, C. Marx, commenta Shakespeare scrivendo che nel denaro il grande drammaturgo inglese rileva:"la divinità visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e l'universale rovesciamento delle cose" .
Storia di Piera. Bompiani, Milano, 1980.
Dacia Maraini- Piera Degli Esposti.
Gli attori.
Gli attori sono zingari dionisiaci. Ma la vita è una recita e tutti noi siamo più o meno attori:" All the world's a stage-And all the men and women merely players" (As you like it , II, 7), tutto il mondo è un palcoscenico e tutti gli uomini e le donne non sono che attori. Essi, continua il malinconico Jaques, hanno le loro uscite e le loro entrate. Una stessa persona, nella sua vita, rappresenta parecchie parti, poiché sette età costituiscono gli atti". Segue la descrizione dei sette atti. Ci interessa il secondo: quello dello "scolaro piagnucoloso che, con la sua cartella e col suo mattutino viso, si trascina come una lumaca malvolentieri alla scuola"; poi il terzo quello dell' innamorato "che sospira come una fornace, con una triste ballata composta per le sopracciglia dell'amata". Infine "l'ultima scena, che chiude questa storia strana e piena di eventi, è seconda fanciullezza e completo oblio, senza denti, senza vista, senza gusto, senza nulla".
Nella Vita di Svetonio troviamo l'ultima scena di Augusto il quale supremo die , fattisi mettere in ordine i capelli e le guance cascanti, domandò agli amici "ecquid iis videretur mimum vitae commode transegisse" (99), se a loro sembrasse che avesse recitato bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in greco, degli applausi con la solita clausula delle commedie:" eij de; ti-e[coi kalw'" to; paivgnion, krovton dovte", se è andato un po’ bene questo scherzo, applaudite.
“Cosa sa l’uomo della vita? Niente di reale. Viviamo tra figure stereotipate, simili a cartoline illustrate” .
Le parti sostenute durante una pur breve esistenza umana possono mutare.
Luciano paragona la nostra vita a una processione in costume guidata dalla Fortuna che attribuisce le parti agli umani e spesso cambia maschere e ruoli di alcuni durante il corteo: " Pollavki" de; kai; dia; mevsh" th'" pomph'" metevbale ta; ejnivwn schvmata" . Si può pensare alle alterne vicende di Mussolini: fu un maestro di scuola, un vagabondo, un demagogo, un dittatore, e finì davanti al plotone di esecuzione, come certi personaggi di Màrquez.
Piera ricorda vari aspetti di “quella mamma furente” ( Storia di Piera, p. 12). La mamma, una mora sinuosa, ha dunque qualche cosa di Medea.
:"E qualcuno ora è vecchio-e ti parla- che vide i suoi figli sacrificati dalla madre furente" .
Mi colpisce sempre la parola integrazione…perché mi sembra una cosa che soffoca quotidianamente la testa mentre la mente della donna è talmente anarchica che sta fuori da questi tran tran ( Storia di Piera, p. 16).
Ancora Medea, quella di Euripide.
La madre furibonda individua nel suo animo un conflitto tra la passione e i ragionamenti, quindi comprende che l'emotività, sebbene sia causa dei massimi mali, per gli uomini è più forte dei suoi propositi:" Kai; manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav,-qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn,-o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'""( vv. 1078-1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei mali più grandi per i mortali", dirà la furente nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli .
Un'eco lontana di questa situazione si trova nelle Metamorfosi di Ovidio dove Medea cerca di contrastare, senza successo, la passione per Giasone " et luctata diu, postquam ratione furorem/ vincere non poterat, "Frustra, Medea, repugnas." (VII, vv. 10-11), e dopo avere combattuto a lungo, dacché non poteva vincere la follia amorosa con la ragione, si disse "ti opponi invano, Medea".
La volpe del libro di Garrel… la storia di una donna che si trasforma in volpe…un giorno poi si accoppia nel bosco con una volpe maschio e reste incinta…a me è sembrato leggendo di sentire una parabola sulla condizione delle donne divise fra l’amore per il mondo degli uomini (la casa, la morale, l’arte, l’ideologia) e il mondo delle donne, sconosciuto, selvatico, pieno di sensualità e di forza. Ecco, tua madre mi fa pensare a Lady Silvia Telrick ( Storia di Piera, p. 18).
Io non conosco questo libro e penso alle Baccanti di Euripide. Ne traduco alcuni versi: “
La madre tua mandò un grido drizzatasi 689
in mezzo alle baccanti, perché scuotessero il corpo dal sonno,
come udì i muggiti dei cornigeri buoi.
E quelle, cacciato dagli occhi il sonno ristoratore
balzarono su ritte, meraviglia a vedersi di compostezza,
giovani e vecchie e vergini ancora non accoppiate. 694
E innanzitutto si lasciarono cadere le capigliature sulle spalle
e si tirarono su le nebridi tutte quelle cui il legame
dei nodi si era sciolto, poi le pelli variegate
si cinsero con serpi che leccavano le guance. 698
Altre, tenendo tra le braccia un capriolo
o cuccioli selvatici di lupi davano il bianco latte, 700
quante, fresche di parto, avevano la mammella ancora turgida
poiché avevano lasciato i bambini; poi si posero sulla testa corone
di edera e di quercia e di tasso fiorito.
E una preso il tirso lo batté su una roccia,
da dove sprizza una rugiadosa sorgente d'acqua;
un'altra conficcò nel suolo della terra la verga,
e lì il dio fece uscire una fonte di vino;
e quante avevano desiderio di bianca bevanda,
scalfendo la terra con la punta delle dita
ottenevano zampilli di latte; e dai tirsi
di edera stillavano dolci fiotti di miele”. (vv. 689-711)
Penteo che le perseguita è come Socrate quale viene presentato da Nietzsche: ha paura dell’istinto: “Socrate come strumento della disgregazione greca, riconosciuto per la prima volta come tipico décadent. “Razionalità” contro istinto. La “razionalità” a ogni costo come violenza pericolosa che mina la vita!” .
La scuola come luogo di oppressione della fantasia e dll’intelligenza: “mio padre voleva che io studiassi come gli altri figli; ma io gli dissi che mi sarei uccisa se mi avesse mandato a scuola” (Storia di Piera, p. 31).
Tolstoj definiva gli insegnanti ostili alla creatività" creature spiritualmente distorte" che vengono adoperate, e si adoperano, per l'abbrutimento dei ragazzi. Insegnano i luogi comuni e la sottomissione ai luoghi comuni:"Quello strano stato psicologico che io chiamo stato scolastico dell'anima, che tutti noi purtroppo conosciamo così bene, consiste nel fatto che tutte le facoltà più elevate-immaginazione, creatività, comprensione-lasciano il posto ad altre facoltà semi-animalesche: il pronunciare i suoni indipendentemente dall'immaginazione, il contare i numeri in fila, 1, 2, 3, 4, 5…, il percepire le parole senza permettere alla fantasia di arricchirle con immagini; in una parola, la facoltà di reprimere in sé tutte le facoltà più elevate per sviluppare solo quelle che coincidono con l'ordine scolastico, il terrore, lo sforzo della memoria e l'attenzione" . Per quanto riguarda il greco, costoro si fermano ai tecnicismi: per tale genìa il primo gradino, il più basso, è anche l’ultimo.
L’internamento delle donne.
“non vorrei che si dimenticasse come è bella la loro fantasia che si è formata dentro i muri, dentro gli interni delle case” (Storia di Piera, p. 47).
M. Cacciari commentando l' Alcesti afferma che la donna è fatalmente legata alla famiglia e al focolare della casa nella quale entra come sposa:" Dovrà lasciare il Focolare dei genitori, affinché Estia permanga intramontabile. Questo destino si rappresenta nel matrimonio: non l'unione, 'per amore', di un uomo e una donna, ma il passaggio della donna alla condizione di fondatrice-custode dell'oikos, in forza della propria 'legale' maternità…quando la donna 'passa' la soglia della camera nuziale, ecco che irrompe l'accidentale, il caduco: il letto che le apparteneva potrà toccare ad altre; altre potranno essere chiamate a custodire il Focolare. Ecco perché, allora, è necessario che sia Alcesti a morire. Se tale sorte toccasse ad Admeto, lei sarebbe costretta ad abbandonare l'oikos. E' questo il significato dell'espressione variamente commentata al verso 180, dove Alcesti parla al proprio letto nuziale:"Non ti odio; tu hai perduto me sola; per non aver voluto tradire (prodou'nai) te e il mio sposo io muoio”. Alcesti muore perché, morto Admeto, avrebbe dovuto abbandonarlo-tradirlo. Certo, nulla le avrebbe impedito di farlo: ella muore quando poteva non morire per lo sposo, "ma prendere tra i Tessali l'uomo che volevo e abitare una casa felice, regale” (285-286). Ma, agendo così, l'oikos di Admeto si sarebbe perso ed ella avrebbe tradito Hestia"
Sentiamo Medea: “
Un uomo però , quando gli pesa stare insieme a quelli di casa,
uscito fuori, depone la noia dal cuore
(volgendosi a un amico o a un coetaneo);
per noi al contrario è necessario mirare su una sola persona.
Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli
in casa, mentre loro combattono con la lancia,
pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo
preferirei stare che partorire una volta sola. (Euripide, Medea, vv. 244-251).
Una riflessione su questo argomento si trova in Madame Bovary quando Emma desidera un figlio di sesso maschile :"Un uomo, almeno, è libero; può passare attraverso le passioni e i paesi, superare gli ostacoli, gustare le più remote felicità. Ma una donna è continuamente frustrata. Inerte e flessibile insieme, ha contro di sé le debolezze della carne come la schiavitù del codice. La sua volontà, come il velo del suo cappellino trattenuto da un cordoncino, palpita a ogni vento; c'è sempre qualche desiderio che la trascina, c'è sempre qualche convenienza che la trattiene" (p. 74).
La buona moglie sottomessa e silenziosa. Espressioni di antifemminismo.
Secondo Senofonte la sposa deve occuparsi dei lavori interni alla casa, mentre il marito seguirà quelli esterni. Infatti per la donna è più bello restare dentro casa che vivere fuori (" Th'/ me;n ga;r gunaiki; kavllion e[ndon mevnein h] quraulei'n", Economico , VII, 30); per l'uomo al contrario è più vergognoso rimanere in casa che impegnarsi nelle cose esterne.
Si può pensare per contrasto ai costumi degli Egiziani quali vengono descritti da Erodoto. Del passo erodoteo (II, 35, 2) già citato si ricorda Sofocle nell'Edipo a Colono, senza però che il protagonista consideri equivalenti, o dipendenti dal clima, costumi tanto diversi: infatti il vecchio cieco incestuoso e parricida biasima i figli maschi poiché hanno costumi simili agli Egiziani: Eteocle e Polinice infatti " kat j oi\kon oijkorou'sin w{ste parqevnoi" (v. 343) restano in casa come fanciulle, mentre le due figlie, Antigone e Ismene , si sobbarcano i gravi affanni del padre.
Non diversi da quelli dell’ateniese Senofonte sono i gusti del triestino Zeno:"Ora non avrei avuto che un desiderio: correre dalla mia vera moglie, solo per vederla intenta al suo lavoro di formica assidua, mentre metteva in salvo le nostre cose in un'atmosfera di canfora e di naftalina" .
Al modello di moglie chiusa in casa, sia essa la donna ideale ateniese o persiana o di Ilio, assomiglia la sfortunata Andromaca delle Troiane (del 415) di Euripide:" Io che mirai alla buona fama (ejgw; de; toxeuvsasa th'" eujdoxiva", v.643) /dopo averla ottenuta in larga misura, fallivo il successo (th'" tuvch" hJmavrtanon, v. 644 ) ./Infatti quelle che sono le qualità conosciute di una sposa saggia/io le mettevo in pratica nella casa di Ettore./Là dunque per prima cosa- che vi sia o non vi sia/motivo di biasimo per le donne (yovgo" gunaixivn, v. 648)- la cosa in sé attira/cattiva fama se una donna non rimane in casa ,/io, messo via il desiderio di questo, rimanevo in casa (" e[mimnon ejn dovmoi"", v. 650);/e dentro casa non facevo entrare scaltre chiacchiere di donne/, ma avendo come maestro il mio senno (to;n de; nou'n didavskalon, v. 652)/ buono per natura, bastavo a me stessa./E allo sposo offrivo silenzio di lingua e volto/ calmo ("glwvssh" te sigh;n o[mma q j h{sucon povsei-parei'con", vv. 654-655); e sapevo in che cosa dovevo vincere lo sposo,/e in che cosa bisognava che lasciassi a lui la vittoria" (vv. 643-656).
Ancora più radicale è l'Elettra di Euripide quando dice:" gunai'ka ga;r crh; pavnta sugcwrei'n povsei-h{ti" frenhvrh": h|/ de; mh; dokei' tavde,-oujd j eij" ajriqmo;n tw'n ejmw'n h{kei lovgwn" Elettra, v. 1052), in effetti è necessario che ceda in tutto al marito la donna che ha senno; quella cui questo non sembra giusto, non la tengo in nessuna considerazione.
Atena che si identifica con gli uomini rinnega la madre (Storia di Piera, p. 55).
Il processo delle Eumenidi giunge alla sentenza. Mentre gli areopagiti si alzano e votano uno alla volta, Apollo esprime fiducia nel proprio successo:"vincerò io"(v.722). La corifèa quindi gli rinfaccia il caso di Admeto sottratto al destino di morte:"così facesti anche nel palazzo di Ferete:
persuadesti le Moire a rendere immortali i mortali"(vv.723-724).
Euripide drammatizzerà questo mito in una tragedia, l'Alcesti , dove Qavnato~. corredata di ali nere (cfr. Alcesti, v. 843) accusa Febo di stabilire la legge per gli abbienti (pro;~ tw'n ejcovntwn, Foi'be, tovn novmon tivqh~, Alcesti, v.57).
Apollo si giustifica affermando di avere salvato un uomo devoto e meritevole ( Eumenidi , v. 725) e l'Erinni replica con un'altra accusa: "Tu certo hai destabilizzato gli antichi ordinamenti quando con il vino hai ingannato le vecchie dèe" (vv.727-728).
Il voto finale, risolutivo, è di Atena, ed è assolutorio:"io aggiungerò questo voto a quelli in favore di Oreste: infatti madre non c'è che mi abbia generato, approvo il maschio in tutto, tranne farmi sposare, con tutto il cuore sono tutta del padre"(vv.735-738). La conseguenza di tale parzialità della dèa che presiede il tribunale è che: " vince Oreste se viene giudicato con egual numero di voti"(v.741). In effetti, eseguito il conteggio, Atena proclama l'assoluzione di Oreste:"quest'uomo è assolto dall'accusa di omicidio: infatti il numero dei voti è uguale"(vv. 752-753).
C’è qualcosa di arcaico, di favoloso in questo corpo femminile che si comporta secondo i cicli delle stagioni…fa pensare a Proserpina, ti ricordi? D’inverno passava il tempo con lo sposo Vulcano dentro l’inferno delle braci, del ferro battuto, del fuoco e in primavera veniva fuori, all’aperto, a fare spuntare le erbe, a fare maturare il grano, a fare gonfiare i frutti. (Storia di Piera, p. 111).
Kierkegaard nel Diario del seduttore (del 1843) indica e sottolinea la vicinanza della ragazza alla natura:" ella è come un fiore, piace dire ai poeti, e perfino quel che in lei c'è di spirituale ha alcunché di vegetativo"(p.138) .
Il tabù di mangiare con i morti
“Un esempio che appartiene alla grecità arcaica è presente nell'Inno omerico A Demetra (VII sec. a. C.). La vicenda è assai nota: Ade, il signore dei morti, ha rapito la giovinetta Persefone e l'ha portata come consorte agli Inferi. La madre di Persefone, la grande dea Demetra, dopo un'aspra contesa, ha finalmente ottenuto da Zeus che la fanciulla possa ritornare tra gli dei superi. Ma prima di lasciarla partire Ade, ancora entro i confini del suo regno, le diede da mangiare il seme del melograno, dolce come il miele,-furtivamente guardandosi intorno-affinché ella non rimanesse per sempre lassù, con la veneranda Demetra dallo scuro peplo" ….Il significato antropologico di questo racconto è estremamente chiaro e su di esso…vi è un larghissimo consenso. Persefone, per aver mangiato nel mondo dei morti un cibo dei morti, resta indissolubilmente legata a quel mondo, al punto che neppure Zeus, questa volta, può sottrarla al suo destino: può soltanto ottenere un compromesso che riporti Persefone per otto mesi nel mondo degli dèi superi, ma per gli altri quattro mesi la dea apparterrà ineluttabilmente al suo sposo e al mondo dei morti. Il tabù di mangiare nel mondo dei morti, se infranto, comporta come s'è visto sanzioni inesorabili" .
Non conosco la malinconia, gli stati intermedi, la noia, non so cosa sia, così come non conosco la nausea, il mal di stomaco. Mentre la paura, l’orrore, la tragedia le conosco fin da piccola…può essere che io sia costituita di questo materiale, non possiamo illuderci che siano solo cose esterne, noi siam fatti di una certa lega…può darsi che io sia fatta di un materiale fondamentalmente tragico (Storia di Piera, p. 120)
La tragedia mostra situazioni estreme. L'opera di Dostoevskij ha una caratteristica che la accomuna alla tragedia greca. In questa "figure già ricche di significato sono colte nel momento della grande svolta esistenziale, massima crisi" . Il grande romanziere russo rinnova questo aspetto sostanziale del dramma e della letteratura antica che, secondo Bachtin, si precisa nella satira menippea e nel romanzo:"La particolarità più importante del genere della menippea è che la più audace e sfrenata fantasia è qui internamente motivata, giustificata, illuminata da un fine puramente filosofico-ideale: quello di creare situazioni eccezionali per provocare e sperimentare l'idea-parola filosofica, la verità, impersonata nella figura del saggio che cerca questa verità. Sottolineiamo che la fantasia serve qui non per la incarnazione positiva della verità, ma per la sua ricerca, provocazione e, soprattutto per la sua sperimentazione. A questo fine i personaggi della satira menippea salgono in cielo, scendono agli inferi, visitano la luna…Molto spesso la fantasia acquista un carattere avventuroso, a volte simbolico o perfino mistico-religioso (in Apuleio). Ma in tutti i casi essa è assoggettata alla funzione puramente ideale di provocare e sperimentare la verità…si può dire che il contenuto della satira menippea sono le avventure dell'idea o della verità nel mondo: sulla terra, agli inferi, sull'Olimpo" . Anche Dostoevskij mette i suoi personaggi in situazioni anomale e fortemente critiche:"Dostoevskij fu meno che mai uno scrittore d'ambiente casalingo-familiare. Nel vieto spazio interno, lontano dalla soglia, gli uomini vivono una vita biografica in un tempo biografico: nascono, passano l'infanzia e la giovinezza, si sposano, generano figli, invecchiano, muoiono. Anche questo tempo biografico è "saltato" da Dostoevskij. Sulla soglia e sulla piazza è possibile solo il tempo della crisi, in cui l'istante si eguaglia agli anni, ai decenni, ai "milioni di anni" (come nel Sogno di un uomo ridicolo) ".
Io ho bisogno di sollecitazioni diverse, ho bisogno di segreto, di estraneità, di un rapporto che non mi sia troppo famigliare, insomma vincono sempre gli uomini che passano, sull’autobus, per la strada, quelli che non conosco, che non so…(Storia di Piera, p. 130).
Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (Ovidio, Amores, 2, 20, 36) evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
E' questo il tovpo" dell'amore che insegue chi fugge e scappa da chi lo insegue. Tale locus ha un' ampia presenza nella poesia amorosa e, probabilmente, pure nell'esperienza personale di ciascuno di noi: Teocrito nel VI idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde:"kai; feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei" (v. 17), e fugge chi ama e chi non ama lo insegue. Nell'XI idillio lo stesso Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75), femmina ovina o umana che sia.
"Un epigramma di Callimaco (Anth. Pal. 12, 102) liberamente tradotto per l'occasione in versi latini, è in Orazio il ritornello caro a questi incontentabili stolti:" Come il cacciatore insegue la lepre nella neve e non la prende quando è a portata di mano, così fa anche l'amante che oltrepassa a volo ciò che è alla portata di tutti e cerca di prendere quello che fugge : "Meus est amor huic similis: nam/transvolat in medio posita et fugientia captat " (Sermones , 1, 2, 107-108.). Ed è proprio questo epigramma di Callimaco che fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores tutto impegnato a redigere il codice della perfetta relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la tormentata forma dell'amore elegiaco: quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (2, 20, 36)" , evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
Sentiamo qualche altra testimonianza.
Catullo cerca di sfuggire obstinata mente (8, 11) a questa legge che nega la realtà dell'amore facendone un'utopia:"nec quae fugit sectare, nec miser vive " (8, 10), non dare la caccia a quella che fugge e non vivere da disgraziato.
Nell' Hercules Oetaeus attribuito a Seneca la nutrice di Deianira per consolare la sua alumna le dice che Iole ridotta oramai a schiava è una preda oramai troppo facile per Ercole e, quindi, non più ambita:"illicita amantur; excidit quidquid licet" (v. 357), sono amate le cose non consentite, tutto quello che è concesso decade.
Nella Gerusalemme liberata leggiamo:"Ma perché istinto è de l'umane genti/che ciò che più si vieta uom più desìa,/dispongon molti ad onta di fortuna/seguir la donna come il ciel s'imbruna" (V, 76).
Troviamo un’occorrenza di questo topos in El burlador de Sevilla (1630) di Tirso de Molina: “regola dell’amore/è amare chi ci odia, /sprezzare chi ci adora,/perché, se è pago, muore,/e vive se è ferito” (I, 10).
Nella commedia La locandiera (del 1753) Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina, in un monologo."Quei che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9).
Una situazione analoga troviamo in Il giocatore di Dostoevskij dove il protagonista dichiara il suo amore a Polina in questi termini:"Lei sa bene che cosa mi ha assorbito tutto intero. Siccome non ho nessuna speranza e ai suoi occhi sono uno zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei dappertutto, e tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo so. Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non so neppure se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il suo cuore non è buono e l'intelletto non è nobile; questo è molto probabile" .
Proust nel V volume della Ricerca esprime lo stesso concetto:"Qualsiasi essere amato-anzi, in una certa misura, qualsiasi essere-è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia" .
L'analogia con il cacciatore può essere estesa a quella con il raccoglitore di fiori. Il fiore raccolto non è più amabile. Molto note sono le ottave dell'Orlando furioso:"La verginella è simile alla rosa,/ch'in bel giardin su la nativa spina/mentre sola e sicura si riposa,/né gregge né pastor se le avicina;/l'aura soave e l'alba rugiadosa,/l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:/gioveni vaghi e donne innamorate/amano averne e seni e tempie ornate.//Ma non sì tosto dal materno stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo verde,/che quanto avea dagli uomini e dal cielo/favor, grazia e bellezza, tutto perde./La vergine che 'l fior, di che più zelo/che de' begli occhi e de la vita aver de',/lascia altrui còrre, il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti gli altri amanti" (I, 42-43).
Meno noti sono forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo che ha realizzato il suo sogno d'amore con Anna Karenina:"Lui la guardava come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in cui riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e distrutto" .
Gozzano, su questa linea, sospira con ironia:" Il mio sogno è nutrito d'abbandono,/di rimpianto. Non amo che le rose/ che non colsi" .
Sentiamo infine C. Pavese:"Ma questa è la più atroce: l'arte della vita consiste nel nascondere alle persone più care la propria gioia di esser con loro, altrimenti si perdono" .
Giovanni Ghiselli, Bologna, 18 settembre 2006.
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