La "cifra" di Giuseppe Bertolucci
Sono passati poco più di due mesi dalla scomparsa di
Giuseppe Bertolucci, e nessuno lo ha dimenticato, come regista e come
presidente della Cineteca, dal 1997 al 2011. «Era capace di rivelare il
nascosto della società», dice Vittorio Boarini, docente e per anni direttore
della Cineteca. «Uno sperimentatore di territori inediti, per il quale era
difficile lavorare nel cinema italiano contemporaneo», secondo Gianluca
Farinelli della Cineteca, che con Bertolucci ha lavorato 11 anni. «Un generoso
che diceva sì a tutto, sicuro di poter trarre il meglio da ogni artista», per
Vincenzo Cerami. D’altronde, ricorda la scrittrice Grazia Verasani, «in lui era
radicato l’ottimismo della volontà».
La serata dedicata a Giuseppe Bertolucci da Casa dei
Pensieri alla Festa de l’Unità, martedì sera, è stata l’occasione per una
riflessione sul suo lavoro e sulla sua persona. Per tutti era un uomo generoso,
gentile, ma soprattutto curioso e attento. «Sono stata nel cda della Cineteca
quando Giuseppe era presidente. Seppi che era curioso di conoscermi, mi chiese
i miei libri, e io pensavo a un atto cortesia, poi invece mi chiamò per
parlarne. Li aveva letti! E io ne ero felice perché ammiravo il suo cinema,
così pieno di amore per le donne, che sapeva dirigere come attrici e amava come
personaggi».
Eppure i suoi film avevano problemi.
Soprattutto al botteghino: «con Troppo sole, il film
con Sabina Guzzanti, spiazzò perché non faceva ridere, fu un disastro
commerciale ma anche un ritratto potente», ricorda Farinelli. Ma c’erano
problemi anche nell’elaborazione dei film. E parlandone, Cerami, suo amico da
una vita («avevamo un rapporto straordinario, nato quando era un ragazzino, e
io andavo da suo padre Attilio per portargli i miei scritti»), affronta la
cifra di Bertolucci.
«Era acuto, intelligente, tollerante,
senza moralismo, aperto alle cose che accadevano, anche se costumato dal punto
di vista politico, legato al Pci. Era curioso dei linguaggi, nato come pittore,
bravissimo, poi diventato poeta e regista. Aveva un fratello importante,
Bernardo, ma lui aveva una cifra sua. Con lui ho lavorato a Segreti segreti e Cammelli.
Parlava in termini teorici, di idee e concetti, e dovevo tirarlo per la
giacchetta perché io avevo bisogno di vedere qualcosa, un’azione, per scrivere
la sceneggiatura. Mi sembrava che desse poca attenzione al racconto, lui voleva
scappare dallo sguardo reale del cinema. Portava i personaggi quasi alla
caricatura, pur di sottrarsi alla realtà della macchina da presa».
Questo rapporto con la “realtà” del cinema è la cifra,
secondo Cerami. «Bertolucci era un comunista, ma l’ideologia non gli
apparteneva. Erano gli anni della psicanalisi, di Lacan e Althusser, della
decostruzione del marxismo, e lui era un grande esperto di psicanalisi, cioè del
mondo del segreto degli uomini. Voleva raccontare la realtà lavorando sui
lapsus. I suoi personaggi parlavano riferendosi alla psiche, che non è
fotografabile. Si parlavano per codici indecifrabili e non narrabili
cinematograficamente. Codici che solo lui conosceva. Ma doveva fare i conti con
la drammaturgia, e in questo l'ho aiutato».
Regista e poeta, dice Cerami, e a quest’ultimo
aspetto, letterario, dedica attenzione Farinelli. «Del poeta aveva la forza
delle parole, la capacità di sintesi, in ogni cosa. Far progetti con lui era
formidabile, era un presidente esigente, scommetteva sul bello, tra classico e
territori nuovi, ideando cose come Schermi e lavagne, rilanciando i film in
versione originale, sostenendo l’area didattica e gli incontri, in anni in cui
si diceva ancora “no il dibattito no!”». E per far ascoltare di cosa era capace,
con le parole, legge un suo testo. Non una poesia, ma quello che scrisse per il
lancio delle tessere “Amici della Cineteca di Bologna”:
“Il cinema è un piacere, il cinema è un diritto, il
cinema è per tutti, neri, bianchi, gialli, geniali, intelligenti, cretini,
uomini, donne, gay, asessuati, giovani, vecchi, adolescenti, bambini, poveri,
ricchi, borghesi proletari, grassi, magri, calmi, depressi, euforici,
cristiani, buddisti, musulmani, induisti, atei, laici, agnostici, buoni,
cattivi, di destra e di sinistra, il cinema è un grande amico, ricambia la sua
amicizia, meglio un grande amico che un grande fratello”.
Da Caffè letterario, Alberto Sebastiani La Repubblica
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