La casa dei pensieri

19.1.06

Pasolini e la scuola




“Il maestro e la meglio gioventu’
Pasolini e la scuola”

Conversazione con
Gianni Scalia, Davide Ferrari, Stefano Colangelo, Roberto Chiesi, Giordano Meacci.

Letture di Gabriele Bonazzi

In occasione della presentazione
del libro omonimo a cura di
Roberto Villa e Lorenzo Capitani
Aliberti ed.

Interverranno i curatori
Presiede Daniele Di Nino

Liceo Ginnasio Luigi Galvani
Biblioteca Zambeccari, via Castiglione 38, Bologna
Giovedi’ 26 Gennaio, ore 17,30


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Pasolini e la scuola UNA CRONACA

"Il maestro e la meglio gioventù. Pasolini e la scuola": questo il titolo del libro presentato il 26 gennaio scorso presso il liceo Galvani, a Bologna. Si tratta di una miscellanea di interventi, che fa riferimento a una mostra e a un convegno del 1995 tenuti a Reggio Emilia. Le motivazioni sono sintetizzate lucidamente da Roberto Villa e sono ancora attualissime: "lo sguardo attento, ammirato e curioso di due insegnanti alla passione didattica e alla strenua volontà di azione educativa di questo straordinario 'collega', nella cui remota esperienza hanno creduto di vedere una giornata speciale e ancora attualissima della scuola italiana."
È da tempo che si parla di carattere pedagogico di tutta l'opera pasoliniana. Forse il primo a segnalarlo è stato Enzo Golino negli anni ottanta. Le esperienze di insegnamento vero e proprio di Pier Paolo Pasolini si attuarono in Friuli e nel Lazio; prestissimo nella scuoletta da lui inventata con la madre tra San Giovanni, Casarsa e Versuta, nel pieno della guerra; e poi nella scuola media statale di Valvasone tra il '47 e il '49. Dopo la fuga a Roma, Pasolini insegnò nella scuola media parificata di Ciampino, dal '51 al '54.
Di queste esperienze abbiamo molte testimonianze, di colleghi, dei presidi, degli allievi.
Negli anni friulani Pasolini redasse un abbozzo di romanzo rimasto inedito, e poi pubblicato da Guanda nel '94 a cura di Nico Naldini, "Romàns", che ha come protagonisti un prete molto inquieto e un giovane intellettuale comunista. L'uno che apre una scuola privata, l'altro che insegna in una scuola pubblica, e fra di loro dialogano nelle campagne attorno a Casarsa.
E nel diario scolastico di "don Paolo" troviamo queste riflessioni:
"Il lavoro del maestro è come quello della massaia, bisogna ogni mattina ricominciare da capo: la materia, il concreto sfuggono da tutte le parti, sono un continuo miraggio che dà illusioni di perfezione. Lascio la sera i ragazzi in piena fase di ordine e volontà di sapere - partecipi, infervorati - e li trovo il giorno dopo ricaduti nella freddezza e nell'indifferenza.
(…) per fare studiare i ragazzi volentieri, entusiasmarli, occorre ben altro che adottare un metodo più moderno e intelligente. Si tratta di sfumature, di sfumature rischiose e emozionanti…"
Bisogna tener conto "in concreto delle contraddizioni, dell'irrazionale e del puro vivente che è in noi. (..) Può educare solo chi sa cosa significa amare."
È poi ambientato in una scuola africana "Il padre selvaggio", un abbozzo di sceneggiatura (le Voci ne hanno pubblicato uno stralcio)
Sappiamo che Pasolini nella sua volontà pedagogica applicava i metodi attivi (la drammatizzazione ad esempio, o la mnemotecnica per il latino), ricavandone l'ammirazione del preside di Valvasone che lo chiamava "maestro mirabile". Ma al tempo stesso non si fermava ai mezzi, per lui era essenziale quella "pedagogia apedagogica, quella capace di portare al di là di tutto pur rimanendo nel cuore di tutto". Sono le parole di Andrea Zanzotto, altro grande insegnante poeta, che bene interpreta anche la funzione etica dell'educazione che alla fine della guerra tanti insegnanti respiravano.
Della scuola romana, invece (in cui fu allievo Vincenzo Cerami), abbiamo le lettere che Pasolini scriveva agli amici e che testimoniano la fatica degli spostamenti in treno, mescolata alla responsabilità e all'entusiasmo: "ma penso, penso nel mio amico angoletto, sto l'intera mezz'ora del percorso a pensare, cercando infinite lezioni, a un solo verso, a un pezzetto di verso."
Di quella stagione dà un ritratto avvincente un altro libro sul "Pasolini professore", di Giordano Meacci.
Negli interventi degli ultimi anni Pasolini, come è noto, mostrava la sofferenza istituzionale della scuola, la sua dimissione educativa, fino alla provocazione estrema, le "Due modeste proposte per eliminare la criminalità in Italia": "1) Abolire immediatamente la scuola media d'obbligo. 2) Abolire immediatamente la televisione." Pochi giorni prima della morte.
Nell'incontro bolognese ad ampliare e discutere le riflessioni del libro si sono incontrati, insieme ai curatori, alcuni studiosi pasoliniani come Davide Ferrari, Roberto Chiesi, Stefano Colangelo, Giordano Meacci, coordinati da Daniele Di Nino e accompagnati da alcune letture da parte di Gabriele Bonazzi.
E molti spunti nuovi sono giustamente emersi: l'ipotesi di un confronto tra la pedagogia di Pasolini e la riflessione sulla scuola di Antonio Gramsci (Stefano Colangelo); l'ammirazione ancora viva di Giordano Meacci, che nella sua indagine ha introiettato Pasolini come grande uomo morale del novecento, nel cui gesto espressivo rintraccia il rigore etico e la guerra alla retorica (sarebbe bello avere il tempo di ascoltarlo, raccontare le mille testimonianze raccolte); il raffronto con don Milani, proposto da Daniele Di Nino (e proprio Pasolini e don Milani, scriveva il maestro Pontremoli, sono "tra i pochi 'pedagogisti' italiani con cui sia davvero necessario confrontarsi"); la necessità, da parte degli insegnanti, di giudicare gli allievi su quel che sanno e non su quel che non sanno; la provocazione del sapiente corvo, in "Uccellacci e Uccellini", che sentenzia che "i maestri vanno mangiati in salsa piccante."
Ma erano tanti e corposi, gli interventi di quella serata; nell'uscire (sotto la neve!) la consolazione di avere in mano il libro da leggere e rileggere, di avere Pasolini insegnante come compagno, come collega, come maestro