La casa dei pensieri

23.4.13

Quilici racconta la passione per il Po.

Lunga intervista al grande cine-documentarista e scrittore ferrarese di Matteo Bianchi

https://lanuovaferrara.gelocal.it/ferrara/cronaca/2013/04/24/news/quilici-racconta-la-passione-per-il-po-1.6941716

I due incontri tenuti nel mese di aprile con gli scrittori e giornalisti Paolo Rumiz e Folco Quilici, organizzati dall’Associazione Culturale “Casa dei Pensieri” di Bologna, sono l’anteprima della manifestazione Ex-Po, alla scoperta del grande fiume, promossa da Publieventi.
Figlio del giornalista Nello Quilici e della pittrice Emma Buzzacchi, dopo aver iniziato un'attività di tipo cineamatoriale, Folco Quilici si è specializzato in riprese sottomarine, diventando molto popolare anche al di fuori dei confini nazionali. Ha studiato regia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia. Il suo primo lungometraggio è stato Sesto continente del 1954, ricco di suggestive immagini subacquee dedicate ai mari australi. Seguono negli anni a venire film e lungometraggi che hanno fatto storia, tra i quali: L'ultimo paradiso, Tikoyo e il suo pescecane, Oceano, Fratello mare. Successivamente ha alternato la documentaristica cinematografica con l'attività giornalistica, segnalandosi per le inchieste ed i servizi speciali riguardanti l'ambiente e la civiltà. Nel 1965 la Esso gli affidò la realizzazione di una serie di film sull'Italia filmata dall'alto tramite elicottero. Nel periodo che va dal 1966 al1978 furono realizzati 14 di tali documentari, tutti aventi come titolo L'Italia vista dal cielo. A questi si affiancarono sedici volumi illustrati. Successivamente si è dedicato principalmente alla pubblicazione di numerosi testi a partire da Cacciatori di navi del 1984, sino al recente Amico oceano del 2012. Nel 2002 ha ricevuto il premio NEOS dell'Associazione Giornalisti di Viaggio, per la sua attività di scrittore. Dal febbraio 2003 al giugno 2006 ha presieduto l'ICRAM (Istituto Centrale per la ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare), ente pubblico di ricerca sul mare vigilato dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Nel corso dell’incontro precedente Paolo Rumiz ha sostenuto di aver riconosciuto i lineamenti di fiumi stranieri, quali il Don, il Mekong, il Mississipi ecc. lungo il suo viaggio sul Po; lei ha mai ritrovato il Grande Fiume durante le sue escursioni all’estero?
«Ho rivisto il Po che conosco, da Pontelagoscuro a scendere, nelle tele di mia madre, la quale si era trasferita nelle Valli da Mantova, poiché suo padre era venuto a verificare se si potesse coltivare il riso. Abitando lì conobbe le sue Foci. Quando sono andato a girare il mio primo film in Polinesia, ella era stata invitata da Felletti Spadazzi, esponente di spicco della comunità comacchiese, tornando ancora cinquantenne nelle Valli, dove vi trascorse un mese; qui andava spesso in barca e mi documentò le esperienze della villeggiatura con qualche sporadica missiva. Le immagini di quei quadri sono esattamente i paesaggi intorno ai corsi d’acqua polinesiani – sono intercambiabili – e ci legarono moltissimo. Ella aveva la mania di dipingere sulle pareti della casa romana, e realizzò un affresco che ritraeva le Valli; spesso raffigurò anche il Tevere, che, però, spaccio sempre per il Po».
In cosa consiste il lavoro che ha presentato ieri sera?
«Mai avevo filmato il Po per intero: ho recuperato dei frammenti filmografici, dei fotogrammi che ho montato insieme a delle immagini suggestive di Enzo Pecora e a un video sulle Foci di Augusto Frassinetti, poeta e scrittore, che aveva girato per me, e ho lasciato la sua voce sullo sfondo. Tranne in questo caso, non c’è parlato che accompagni il documentario, solo musica. Ho cominciato dal Monviso, dove si trova la Fonte, poi sono passato a Torino, al ponte di Pavia, a Mantova, e al tratto conclusivo del suo corso, sorvolando Venezia, sino all’isolotto “zanzaroso” del Busgatto, da cui la stramba repubblica, che trasse la denominazione dall’abituale allevamento di maiali. Il tutto è stato ripreso dall’elicottero e proviene da periodi differenti del mio archivio».
Nei suoi romanzi d’avventura ritorna il Grande Fiume, l’iconografia del possente corso d’acqua?
«In Cielo verde (1997), la storia vera del pilota che scoprì la cascata più alta del mondo nella foresta amazzonica; reduce della Prima Guerra Mondiale, le sue scoperte furono di fiume in fiume. Rientrato dal conflitto ventiduenne, fece da aerotaxi a missionari, prostitute e cercatori d’oro, essendo molto abile e in grado di atterrare pressoché dovunque. Così ebbe la possibilità di cercare un torrente di cui si vociferava all’epoca, contenente, secondo la leggenda, una cospicua quantità del metallo prezioso. Infine riuscì a scendere nel punto che gli fu indicato, ma sfasciando il mezzo. Sopravvisse per miracolo e raggiunse la tribù di Indios che si occupò di lui più di un anno. Quando feci il sopralluogo là per il film che avevo in testa di girare, ma che poi non si fece, l’aereo era ancora sulla montagna. Allora decisi di scriverne il racconto».
La sua attività giornalistica quando è stata contaminata dalla passione per i viaggi?
«Ho iniziato con la cronaca di grandi viaggi su la Stampa, su cui ho scritto per anni. Poi passai al Corriere della Sera, saltuariamente. Giuntami l’eco dell’enorme lancio del Messaggero romano, fui chiamato dal Direttore e vi sono rimasto sino a oggi. Anche indirettamente ho sempre scritto di viaggi e del Mediterraneo; forse questi articoli sono da sempre l’amore mio. Ricordo quando in treno mi telefonarono all’improvviso per scrivere d’urgenza del ripescaggio di un calamaro gigante, un cefalopode preistorico, e io che gridavo al cellulare lungo il vagone per farmi intendere tra gli sguardi e i commenti attoniti dei passeggeri».
In ambito culturale e della nostra tradizione, come rivalorizzerebbe il Po in Emilia?
«In questi anni c’è già stata una rivalorizzazione sportiva per l’importazione dei siluri, che ha mosso soprattutto i tedeschi e gli abitanti dell’Est europeo. Sarebbe meraviglioso riorganizzare le visite sul Delta e nelle Valli con un aeroporto vicino, delle navette a disposizione dei turisti, delle barche attrezzate; è un parco naturale talmente ricco».
Ha dei nuovi progetti in elaborazione, sia cinematografici che narrativi?
«Ho appena concluso il romanzo sulle vicende dei cani di famiglia, o che ho incontrato nel corso della mia vita, che dovrebbe uscire a fine agosto. Inoltre ho avuto l’approvazione per girare un docufilm sullo sbarco del ’43 degli Alleati in Sicilia, che sono settant’anni giusti; per realizzarlo abbiamo stilato un programma snellissimo, che si regge su otto giorni di riprese. Stiamo, difatti, revisionando metri di materiale inglese e americano di quel periodo in possesso dell’Istituto Luce. A mio parere, però, non si sta facendo abbastanza uso di tutto il materiale documentario raccolto».