Biografie premiati Targa Volponi 2025
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SETTEMBRE
LIBRERIA GIANNINO STOPPANI
La libreria Giannino Stoppani, specializzata in
letteratura per ragazzi, è stata fondata nel 1983 a Bologna da Simona Comelli,
Grazia Gotti, Silvana Sola, Tiziana Roversi e Giampaola Tartarini, con il
supporto del professor Antonio Faeti. Inizialmente situata in Palazzo
Bentivoglio, si è trasferita nel 1991 a Palazzo Re Enzo, dove si trova tuttora.
La libreria, intitolata a Gian Burrasca, è anche una cooperativa culturale che
ha dato vita a un marchio editoriale e a numerose attività formative e culturali.
Nata nel 1983 come circolo
culturale e libreria per ragazzi, si specializza nella letteratura per
l'infanzia e l'adolescenza.
Inizialmente in Palazzo
Bentivoglio, si trasferisce nel 1991 a Palazzo Re Enzo, sede attuale.
La libreria non è solo un
luogo di vendita, ma anche uno spazio di ideazione e promozione culturale, con
mostre, incontri, laboratori ed eventi.
Nel tempo, il circolo
culturale si è trasformato in una cooperativa, dando vita al marchio editoriale
Giannino Stoppani e all'Accademia Drosselmeier, centro studi e formazione per
librai e appassionati di letteratura per l'infanzia.
La libreria si concentra su
una selezione curata di editori italiani e internazionali, con particolare
attenzione alla poesia e all'arte per ragazzi.
La libreria partecipa
attivamente alla Fiera Internazionale del Libro per Ragazzi di Bologna,
presentando libri premiati e novità editoriali.
La libreria si impegna nella
ricerca di libri di qualità, nella promozione della lettura e
nell'organizzazione di eventi culturali per bambini, ragazzi e adulti
appassionati di letteratura per l'infanzia.
Nel corso degli anni, la
libreria è diventata un punto di riferimento per il mondo dell'editoria e della
letteratura per ragazzi, sia a livello nazionale che internazionale.
Una libreria per ragazzi e una cooperativa culturale
di Silvana Sola
dal numero di ottobre 2015 di “INDICE”
Era il 1983 quando prese corpo l’idea di una libreria per
ragazzi titolata a uno dei personaggi più amati della letteratura italiana:
Giannino Stoppani, il Gian Burrasca fiorentino uscito dalla penna felice di
Luigi Bertelli, in arte Vamba.
Chi entrava nella sede di allora, in Palazzo Bentivoglio, a
Bologna, a volte chiedeva se qualcuno di noi era pronipote dell’Abate Stoppani,
il grande studioso, zio di Maria Montessori, diventato poi docente
all’università di Pavia, nel 1861, o più semplicemente chiedeva del titolare,
immaginando una proprietà maschile. La libreria era dedicata al monello più
famoso della letteratura per ragazzi italiana, nome scelto dopo aver vagliato
decine di idee, accompagnate nella decisione dal professor Antonio Faeti,
maestro di studi e indispensabile compagno di strada. Per me l’incontro con il
maestro fu davvero straordinario, perché fece virare il mio percorso accademico
orientato all’antropologia verso la pedagogia. Mi bastò una lezione nella quale
le sue parole facevano incontrare pedagogia, arte, cinema, storia, geografia e
molto altro, per capire che quella forma di accesso alla conoscenza era davvero
rivoluzionaria (e i suoi insegnamenti mi sono oggi particolarmente preziosi nel
mio ruolo di docente in storia dell’illustrazione).
Offrire, nella città in cui vivevamo, un luogo dei libri
dedicato ai bambini e ai ragazzi, un luogo di incontro per le famiglie, per gli
insegnanti, per gli studiosi, per i curiosi.
E quel percorso pedagogico “rivoluzionario” fu il punto di
partenza che trovò linfa nella passione condivisa, nel desiderio di offrire,
nella città in cui vivevamo, un luogo dei libri dedicato ai bambini e ai
ragazzi, un luogo di incontro per le famiglie, per gli insegnanti, per gli
studiosi, per i curiosi. Eravamo cinque giovani donne: nessuna di noi aveva
competenze commerciali, eravamo fresche di laurea o impegnate in altri percorsi
lavorativi che toccavano spazi pedagogici e culturali, ma avevamo un sogno,
un’idea precisa a cui dare mani e piedi.
doctor-pencilDa quell’idea nacque una libreria che era
assieme spazio fisico di vendita e luogo di ideazione e promozione culturale.
Nell’antro di Palazzo Bentivoglio videro la luce le prime mostre dedicate ad
Altan, ai pirati, alla rappresentazione dell’avventura. Nel 1985 chiamammo a
raccolta i nomi del mondo dell’illustrazione, qualcuno già noto, altri al loro
esordio, per realizzare una mostra titolata Doctor Pencil e Mister China.
Vecchie Finzioni e nuovi illustratori, una mostra che invitava a proporre un
nuovo visivo per il fiabesco e le storie classiche dedicate ai ragazzi. Ne uscì
un’esposizione ospitata in quella che allora era la Galleria d’Arte Moderna
perché un direttore attento ai diversi linguaggi dell’arte aveva capito,
trent’anni fa, che l’illustrazione era uno di quei linguaggi. Sulle pareti le
tavole del Pinocchio di Lorenzo Mattotti, tavole che successivamente sarebbero
diventate le illustrazioni del libro pubblicato prima in Francia e poi in
Italia, le immagini ricercate di Igort, le prime tavole di giovani che
rispondevano al nome di Francesca Ghermandi, Giuseppe Palumbo, accanto ai
lavori del Gruppo Valvoline. La Galleria d’Arte Moderna di Bologna, fino agli
anni 2000, fu lo spazio nel quale l’illustrazione, la didattica dell’arte, l’educazione
al visivo, i libri, anche quelli per ragazzi, trovarono la legittima
attenzione. E la cooperativa culturale Giannino Stoppani contribuì a questa
forma d’incontro.
Era il 1991: la libreria per Ragazzi Giannino Stoppani si
trasferì in Palazzo Re Enzo, il palazzo che aveva ospitato le prime edizioni
della Bologna Children’s Book Fair, la più importante manifestazione al mondo
dedicata all’editoria per l’infanzia e l’adolescenza.
Contemporaneamente cresceva il lavoro in libreria,
aumentavano i libri sugli scaffali, gli spazi a cui eravamo tanto affezionate
di Via delle Moline cominciarono a dichiarare i propri limiti: difficile
accogliere classi sempre più numerose, difficile fare presentazioni, incontri
con gli autori. Iniziammo a guardarci attorno e nel luogo sfitto da anni
dell’ex Banco di Napoli, bene immobiliare del Comune di Bologna, identificammo
lo spazio della svolta. Al Sindaco Renzo Imbeni un grazie di cuore per aver scelto
noi come affittuari, preferendoci ad altri. Ristrutturammo il bene storico e ci
facemmo carico di un canone d’affitto importante al Comune di Bologna, affitto
soggetto in questi ultimi anni ad una lieve riduzione a fronte del
riconoscimento del lavoro culturale che la Cooperativa e la Libreria svolgono
da oltre trent’anni. Era il 1991: la libreria per Ragazzi Giannino Stoppani si
trasferì in Palazzo Re Enzo, il palazzo che aveva ospitato le prime edizioni
della Bologna Children’s Book Fair, la più importante manifestazione al mondo
dedicata all’editoria per l’infanzia e l’adolescenza (ora con sede nel
quartiere fieristico). A pochi metri dalla libreria che accoglie gratuitamente,
quasi ogni giorno, bambini e ragazzi delle scuole per visite guidate tra i
libri, accompagnati da librai competenti, abili traghettatori capaci di
trasferire conoscenze e passione, c’è la sede della grande biblioteca
Salaborsa, luogo pubblico straordinario che fa incontrare la bellezza
architettonica, le preesistenze romaniche, con una grande offerta culturale.
Una libreria per ragazzi a Bologna nella cui Università fu istituita la prima
cattedra italiana di letteratura per l’infanzia, affidando il Magistero ad
Antonio Faeti. insignito anche dell’Archiginnasio d’Oro.
infanzia-e-natura_interno_lena-Anderson Accanto alla
ricerca costante dei libri, alla lettura di ciò che offre l’editoria italiana e
straniera, alle proposte bibliografiche per un pubblico sempre più attento e
desideroso di potersi affidare ai consigli di librai specializzati, il nome
Giannino Stoppani ha intrecciato in altro modo la letteratura per ragazzi. Si è
fatto editore pubblicando in Italia il libro Linnea nel giardino di Monet,
portando ai lettori un capolavoro della letteratura per ragazzi svedese, ha
costruito un catalogo nel quale arte e scienza hanno incontrato figure e
storie. Come Giannino Stoppani siamo fiere di aver salutato il settantesimo
della guerra di liberazione con un’antologia dedicata alla Resistenza che ha
messo insieme, sulla carta, ma anche sulle pareti dei luoghi che ospitano la
mostra, illustratori italiani e francesi, scrittori impegnati in testi inediti
accanto a pagine importanti della storia della letteratura per ragazzi,
un’antologia dedicata ai ragazzi, e agli adulti che li accompagnano nella
crescita, per permettere loro di tenere attiva la memoria storica.
accademia-drosselmeier. Nel 2003, al compimento del nostro
ventesimo compleanno, abbiamo dato vita all’Accademia Drosselmeier, uno spazio
di formazione per librai per ragazzi, giocattolai, appassionati della
letteratura per l’infanzia. Dall’Accademia Drosselmeier sono usciti libraie e
librai che hanno dato vita a molte librerie per ragazzi italiane, hanno
organizzato festival rivolti al mondo dei bambini e degli adolescenti, hanno
studiato in modo appassionato la materia e sono diventati, a loro, volta formatori.
Poi, nel desiderio di tenere viva l’attenzione sui libri per ragazzi, il loro
ruolo di ponte nelle relazioni, per l’internazionalità e lo scambio, la
Giannino Stoppani (grazie al lavoro instancabile di Grazia Gotti) è riuscita,
attraverso un’ importante attività di rete e di ricerca, a far rinascere la
sezione italiana dell’associazione internazionale Ibby, un impegno che ci ha
fato risedere a fianco di settanta paesi nel mondo impegnati a promuovere il
libro e la lettura per i bambini e i ragazzi. Un impegno di volontariato che ci
vede oggi alla presidenza dell’associazione, assieme ad istituzioni attente e a
persone fortemente motivate, a portare avanti progetti in una geografia
italiana allargata. A Lampedusa l’obiettivo è l’apertura di una biblioteca per
ragazzi, a Isola del Piano è la creazione dello scaffale dedicato alla
legalità, a Bologna, Roma, Milano sono le iniziative di sostegno all’editoria
italiana e alla sua visibilità fuori dai confini nazionali accanto a
bibliografie multilingue che parlano di accoglienza e di diritto.
7 SETTEMBRE
ANDREA SPERANZONI
Nato
a Venezia (1971), è avvocato del Foro di Bologna. Laureato presso l’Università degli
Studi di Ferrara (tesi su La tutela processuale del segreto di Stato), si è
occupato di processi relativi all’eversione di destra in Italia e di reati di
terrorismo. Ha inoltre assistito in qualità di patrono di parte civile numerosi
familiari delle vittime, Enti pubblici territoriali e l’A.N.P.I. nei processi
celebratisi dopo la scoperta del cosiddetto “Armadio della Vergogna”. Dal 2008 collabora con la cattedra di Procedura
penale europea e sovranazionale (Prof.ssa Silvia Buzzelli) presso il
Dipartimento dei sistemi giuridici ed economici dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
È
inoltre coautore di molte pubblicazioni, tra cui Contesti di strage – la strategia
filoatlantica della stabilizzazione (1997), Le stragi: i processi e la storia.
Ipotesi per una interpretazione unitaria della ‘strategia della tensione’:
1969-1974 (1999), Fenomeni di terrorismo. I legami tra neofascisti italiani e
greci durante la dittatura militare di Atene 1967-1974 (assieme
a Ninolaos Kleitsikas, 2003), Lo
stato di eccezione. Processo per monte Sole 62 anni dopo (2009), L’Italia violenta degli anni Settanta (2011), La ricostruzione giudiziale dei crimini
nazifascisti in Italia. Questioni preliminari (2012) ed è
autore di Le stragi della
vergogna (con prefazione di Carlo Smuraglia e Marco De Paolis)
sui processi ai crimini nazifascisti in Italia.
8 SETTEMBRE
PAUL COX
Che cos’è il disegno oggi, in un’epoca di saturazione di immagini veloci e
immateriali? Come può la rappresentazione grafica preservare la propria
autonomia linguistica in un contesto visivo dominato dalla spettacolarizzazione
digitale? Questi interrogativi emergono percorrendo le sale di Palazzo
Paltroni, sede della Fondazione del Monte di Bologna, dove è in corso la mostra
“Wallbook” di Paul Cox (Parigi, 1959), artista autodidatta nato da genitori
musicisti di origine belga e olandese. Parallelamente a una pittura sconfinante
nel disegno, che costituisce la sua attività principale, si è distinto nella
realizzazione di libri per ragazzi e manifesti per teatro e opera, scenografie
e installazioni ludiche, campagne pubblicitarie e giochi.
L’allestimento a Palazzo Paltroni abolisce i confini
architettonici delle sale espositive: le pareti spariscono dietro un dipinto
continuo in scala ambientale, lungo 75 metri, concepito come giustapposizione
di unità modulari di un unico grande apparato visivo. L’abolizione della
distinzione tra le singole opere a favore della loro continuità offre al
visitatore un’esperienza ulteriore rispetto alla fruizione pittorica
tradizionale, proiettandolo in una sorta di caleidoscopica vertigine visiva. Le
tele, dipinte per quattro mesi nell’atelier dell’artista in Borgogna, si
dispiegano formando un continuum grafico a sviluppo panoramico caratterizzato
da una cromia vivace ed essenziale. L’effetto avvolgente di questo dispositivo
richiama, in un’accezione più giocosa, le strategie di coinvolgimento
ambientale elaborate da artisti come Daniel Buren o Sol LeWitt, pur imboccando
un sentiero più narrativo e apertamente figurativo. La cifra stilistica di Cox
si articola attraverso un vocabolario visivo ostentatamente elementare: disegni
stilizzati, dalle linee semplificate ma incisive, popolano il piano pittorico
(qui coincidente per estensione con la parete), organizzandosi su una griglia
rettangolare rossa che funge da struttura portante dell’impianto figurativo.
Questa impalcatura modulare diventa il terreno di gioco dei prodotti di un
immaginario oscillante tra reminiscenze infantili e cifrati rimandi alla storia
dell’arte. I personaggi e gli oggetti raffigurati rivelano un attento studio
delle proporzioni e dei bilanciamenti cromatici, con una prevalenza di colori
saturi e sgargianti tipici della palette dell’artista, che amplifica il
carattere ludico dell’insieme.
Le pennellate si intersecano ripetendo in una versione
ispessita e ravvicinate la struttura reticolare della griglia di fondo, creando
un ulteriore livello geometrico sapientemente contraddetto dal carattere
ingenuo delle figure ritratte, che si muovono con leggerezza nello spazio
pittorico conferendo un ritmo quasi musicale all’insieme. Ciascuna delle
elementari presenze dipinte, perlopiù figure umane, animali domestici e oggetti
quotidiani, è circondata da uno specifico alone cromatico che ne costituisce lo
sfondo e l’ambientazione, evocativo di ingenui paesaggi rurali o interni
domestici. La semplificazione formale operata dall’artista ricorda alcuni
esempi di arte popolare, con omaggi ai maestri a lui più cari, come Töpffer,
Hokusai, Brueghel e Chardin. Interessante nella grammatica visiva di Cox è
l’assenza di volti riconoscibili nei personaggi, elemento che introduce una
sottile inquietudine in un universo apparentemente armonico. Questa
obliterazione dell’identità conferisce alle figure una dimensione archetipica,
trasformandole in silhouette generiche che popolano un mondo di primo acchito
perfetto ma intrappolato in sé stesso. L’effetto è quello di un’utopia ambigua
tra innocenza e distopia, tra nostalgia per un Eden primordiale e la coazione a
ripetere.
L’immersione generata dalla disposizione delle tele, inoltre,
produce la sensazione di trovarsi all’interno di un libro illustrato
tridimensionale e di abitarne il disegno. Siamo noi a esserci rimpiccioliti o
le illustrazioni della fiaba a ingigantirsi fino a sovrastarci? Per Paul Cox le
figure e le narrazioni che popolano la letteratura costituiscono un mondo che
esce dai libri e può diventare reale. Questo aspetto performativo rappresenta
uno dei punti di forza dell’artista, che rischia proprio per la sua efficacia
immediata di sbilanciarsi verso una dimensione in prevalenza scenografica, che
appiattisce le possibilità di una riflessione più articolata sullo specifico
pittorico. In tale dimensione liminale tra rappresentazione e ambiente, Cox
trasforma lo spettatore da osservatore passivo a partecipante attivo della
narrazione visiva. “Wallbook” si configura così come un’operazione metacritica
che interroga lo statuto dell’immagine contemporanea riaffermando la centralità
dell’esperienza corporea nell’atto del vedere. La mostra rappresenta anche un
momento di riflessione sulla possibilità di preservare un territorio di
autonomia espressiva per il disegno in un’epoca dominata dalla digitalizzazione
dell’immagine. La risposta di Cox passa attraverso la rivendicazione della
materialità del segno, della sua presenza fisica nello spazio, della sua
capacità di generare un’esperienza irriducibile alla fruizione mediata dagli
schermi. Il suo dispositivo visivo, nella sua apparente semplicità, riesce a
sollevare interrogativi complessi sul futuro della rappresentazione grafica e
sulle sue possibilità di resistenza all’omologazione digitale. “Wallbook”
diventa così un manifesto poetico sulla persistenza del disegno come linguaggio
primario dell’espressione umana, capace di creare mondi alternativi proprio
mentre ne mette in discussione i confini.
11 SETTEMBRE
CESARE
BASTELLI
Cesare Bastelli (Modena, 9 ottobre 1949) è un direttore della fotografia e regista italiano.
Cresciuto a Bologna, Bastelli in gioventù
ha fatto parte di un gruppo di teatro sperimentale. Ha frequentato il DAMS del capoluogo emiliano.
Attraverso la conoscenza di Lucio Dalla, col quale ha collaborato negli anni Settanta e Ottanta per i suoi
videoclip, ha incontrato Pupi
Avati.
Ha lavorato in tutti i film del regista
bolognese come aiuto regista e, in seguito, come fotografo di scena e
direttore della fotografia; sempre come aiuto regista ha collaborato, tra gli
altri, con Marco Bellocchio, Roberto Faenza, Marco Ferreri.
È stato direttore della fotografia anche
di documentari e videoclip musicali e si è dedicato al montaggio. Il suo primo
film da regista è Una domenica sì.
15
SETTEMBRE
FONDAZIONE
AMICI DI LUCA DE NIGRIS-CASA DEI RISVEGLI
La “Casa dei risvegli Luca De Nigris” è una struttura dedicata
alla riabilitazione, formazione e ricerca nel campo delle Gravi Cerebrolesioni
Acquisite (GCA), con particolare riferimento ai Disordini della Coscienza
(DOCs). Adotta un modello nel quale gli assistiti non sono considerati
“malati” ma persone con alto bisogno di assistenza e di riabilitazione.
Intende
offrire all’utenza ed ai loro familiari uno standard elevato di qualità
dell’accoglienza ed ospitalità ed un continuo miglioramento. A tal fine la UO
di Medicina Riabilitativa e Neuroriabilitazione e l’Associazione “Gli Amici di
Luca” hanno concordato specifiche modalità di consultazione e di condivisione
per l’analisi del processo di accoglienza e permanenza nella struttura, per
l’analisi della qualità percepita e per la verifica periodica del “Progetto di
Struttura”.
Le
finalità sono:
realizzare una offerta
assistenziale specializzata per il paziente slow to recover;
assicurare un ottimale
livello di osservazione, cura e riabilitazione del paziente ma anche di aiuto
alle famiglie nella fase riabilitativa;
promuovere l’integrazione
fra Azienda Sanitaria e Associazione di Volontariato nei processi di
riabilitazione e ricerca;
applicare un setting
non tradizionalmente ospedaliero per degenze prolungate.
Gli
impegni sono:
Eguaglianza
ed imparzialità nel trattamento.
Rispetto
della privacy e delle convinzioni religiose o filosofiche.
Tutela
della dignità personale.
Assistenza
alle funzioni di base del paziente.
Assistenza
riabilitativa intensiva e personalizzata.
Assistenza
neuropsicologica, psicologica e sociale.
Integrazione
tra progetto clinico, riabilitativo, psicologico e sociale.
Ospitalità
e comfort del familiare durante il periodo di riabilitazione.
Informazione,
formazione e assistenza psicologica alla famiglia.
Coinvolgimento
della famiglia nella pianificazione e gestione del progetto assistenziale e
degli obiettivi riabilitativi.
Consegna
alla famiglia di conoscenze e competenze per l’assistenza a domicilio.
Aiuto
al recupero dell’identità e della storia personale del paziente e della
famiglia e alla ricostruzione di un progetto di vita.
Lavoro
in team e per obiettivi.
Integrazione
con la rete dei servizi.
Ricerca
e miglioramento continuo.
Aggiornamento e formazione continua dei
professionisti e dei volontari.
15 SETTEMBRE
JOLANDO SCARPA
L’albo d’oro del premio
“Medaglia Beato Angelico, Patrono Universale degli Artisti” si arricchisce con
il nome di un triestino: Jolando Scarpa, veneziano di nascita, è stato
insignito del riconoscimento in occasione di un concerto d’organo alla Basilica
di Santa Maria Novella a Firenze. Finora, l’associazione “Beato Angelico per il
Rinascimento” ha conferito la Medaglia a 55 artisti, tra cui Franco Zeffirelli,
Andrea Bocelli, Lina Wertmüller, Pupi Avati, Massimo Ranieri, Riccardo
Cocciante e Claudia Koll. Per la prima volta - era il 2002 - venne assegnata al
grande baritono Rolando Panerai, scomparso nell’ottobre dello scorso anno. Da
allora, il premio è attribuito a quegli artisti che, “consapevoli del fatto che
l’Arte non dovrebbe esser fine a se stessa o finalizzata unicamente
all’accrescimento della propria fama o ricchezza personale, operano per
diffondere nel mondo la luce della spiritualità attraverso i propri talenti”.
Scarpa ha ricevuto il riconoscimento “perché
eccellente organista e musicologo acclamato in tutta Europa”: oltre che
organista, Scarpa è clavicembalista, ma soprattutto compie un’attività di
ricerca riportando alla luce interessanti manoscritti inediti e stampe rare di
musiche vocali e strumentali di compositori del periodo rinascimentale e
barocco italiano, tedesco e francese, dedicandosi in particolare alla
riscoperta e all’esecuzione delle musiche dei quattro grandi Ospedali veneziani
sulle quali è ritenuto uno tra i principali studiosi.
A Trieste, vive da quattro anni, «ma è sempre stata
la mia città-mito - racconta -. Le mie origini sono veneziane da parte paterna
e friulane da parte materna. Mi sento ancora legato intimamente a un paesetto
del Pordenonese: in questa frazione di Azzano Decimo, Fagnigola, ho passato i
più bei momenti della mia infanzia conoscendo anche un lontano parente di mia
madre, lo scultore Marcello Mascherini».
Negli anni, Trieste è diventata il suo rifugio.
«Del resto - afferma - il mio vero maestro è stato il compositore triestino
Raffaele Cumar, la cui sconfinata conoscenza mi ha contagiato per sempre
spronandomi in quella ricerca a tutto tondo nel mondo della musica che ha posto
successivamente le basi alla mia intensa attività editoriale con case editrici
austriache e tedesche. In seguito, frequentando assiduamente il variegato mondo
protestante, ho tenuto diversi concerti a Gorizia (dove anche ho predicato
nella locale chiesa metodista) e coltivato numerose amicizie, tra cui quella
con il compianto maestro Giuseppe Zudini. Da lui sono stato invitato più volte
a suonare nella rassegna “Ottobre Organistico” che si svolgeva nella Basilica
di San Silvestro».
Per il futuro, sull’onda della soddisfazione per
la Medaglia Beato Angelico, i propositi non mancano. «In un contesto fortemente
ecumenico qual è quello triestino - racconta ancora Jolando Scarpa - mi
piacerebbe dedicarmi come musicologo, ma anche come credente cristiano, alla
riscoperta della produzione di diversi compositori del periodo barocco attivi
in quell’area geografica chiamata “Litorale”. Un esempio? Le magniloquenti
Messe e i Mottetti del cattolico Gabriel Sponga-Usper (allievo a Venezia di
Andrea Gabrieli). E poi vorrei restituire alla dignità dell’ascolto i
dimenticati Mottetti dell’austriaco protestante Isaac Posch. Infine, mettere in
evidenza quanto alcuni compositori italiani del ‘700 fecero per “riformare”,
ossia rendere più consona ai tempi, la musica delle liturgie ortodosse».
Preso da IL PICCOLO TRIESTE 29
gennaio 2020
16 SETTEMBRE
CARLA FARALLI
CARLA
FARALLI dopo aver conseguito la laurea nel giugno del 1972, con il punteggio di
110/110 e lode, è stata prima incaricata di esercitazioni, poi titolare di una
borsa di studio ministeriale, successivamente di un assegno finche' l'1/11/1977
e' entrata in servizio come assistente ordinario presso la cattedra di
Filosofia del diritto della Facolta' di Giurisprudenza dell'Universita' di
Bologna.
In
data 1/6/1983 e' stata nominata professore associato sull'insegnamento di
Filosofia del diritto presso la Facolta' di Lettere e Filosofia
dell'Universita' di Bologna.
Nel
1990 ha vinto il concorso per professore ordinario ed e' stata chiamata presso
la Facolta' di Giurisprudenza
dell'Universita' di Modena. Dal 1995 si e' trasferita alla Facolta' di
Giurisprudenza dell'Universita' di Bologna dove tuttora insegna Filosofia del
diritto e Etica applicata nel corso di laurea magistrale in giurisprudenza e il
corso Women and Law per il Master GEMMA.
Dal
1986 e' membro del CIRSFID (di cui e' Direttrice); dal 2001 al 2006 e' stata
coordinatrice del Dottorato in Bioetica, divenuto poi, nel 2006/07, sezione del
Dottorato in diritto e nuove tecnologie (sede di Bologna) e fino al 2012 ha
coordinato il Dottorato in Diritto e nuove tecnologie; dal 2014 al 2017 è stata
membro del Collegio docenti del Dottorato in
Scienze Giuridiche e attualmente è membro del Collegio docenti del
Dottorato in Law, Science and Technology.
Dal
2002 al 2008 e' stata membro del Consiglio di Amministrazione; dal 2002 al 2012
e' stata membro della Giunta dell'Universita' di Bologna; dal 2008 al 2015 e'
stata membro del Senato Accademico.
E'
stato membro del Comitato Etico del Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna
fino al 2013; del Comitato di Bioetica dell'Ateneo dal 2010 al 2016; del Comitato Etico
dell'Università Statale di Milano dal 2013 al 2015 e del Comitato Etico
dell'Istituto Ortopedico Rizzoli fino al 2017. Attualmente è membro del
Comitato Etico di Area Vasta Emilia Centro (CE-AVEC) della Regione Emilia
Romagna. E' stata Presidente della Societa' Italiana di Filosofia del Diritto
da inizio 2015 a inizio 2019 e coordinatrice della Società Italiana di Diritto
e Letteratura (Network).
E'
membro del Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale (Commissione
permanente di Sociologia del diritto), dell'Instituto de derechos humanos
dell'Universita' Complutense di Madrid; dell'Accademia delle Scienze
dell'Istituto di Bologna.
E'
editor in chief di Ratio Iuris. An International Journal of Jurisprudence and
Theory of Law e della Rivista di
Filosofia del Diritto; E' membro del comitato di direzione di Sociologia del
diritto; del Consiglio Scientifico delle Riviste Salute e Societa', Biodiritto e Responsabilità medica; dal 1985
e' corrispondente dall'Italia della rivista Droit et Societe'. Revue
Internationale de theorie du droit et de sociologie juridique ; dal 1983 al
1999, ha curato la sezione italiana di Current Legal Theory. International
Journal for Documentation on Legal Theory (Bibliography-Abstracts- Reviews);
dal 1995 al 1999 e' stata editor di IVR
Newsletter.
Nell'ambito
della ricerca si e' occupata dapprima di storia delle idee e di storia sociale
e si e' avvicinata successivamente a tematiche piu' propriamente filosofico-
giuridiche.
Dopo
i primi studi sul pensiero filosofico-giuridico del Cinque e del Seicento
(Grozio e Seconda Scolastica), si e' occupata degli orientamenti del pensiero
filosofico-giuridico dell'Otto e del Novecento (particolarmente in Italia, nei
Paesi scandinavi e negli Stati Uniti) - quali il positivismo filosofico e il
realismo - improntati al rifiuto del formalismo e alla ricerca intesa a
penetrare la realta' sociale, psicologica e politica del diritto e da ultimo
degli sviluppi del dibattito contemporaneo.
Si e'
inoltre occupata dell'analisi teorica di concetti fondamentali del pensiero
giuridico quali Stato, certezza del diritto, fonti del diritto, nonche' di
problematiche relative all'antropologia e alla sociologia giuridica, alla
bioetica e al rapporto diritto e genere, e diritto e letteratura.
A
questi temi ha dedicato numerosi articoli, pubblicati in riviste sia italiane
sia straniere, a testimonianza della rilevanza anche internazionale di tali
studi.
Ha
partecipato quale relatrice a convegni nazionali ed internazionali; ha
coordinato ricerche di interesse nazionale.
18 SETTEMBRE
GRETA SCHÖDL
Nata a
Hollabrunn, in Austria, nel 1929, si trasferisce a Bologna alla fine degli anni
Cinquanta. Attiva dagli anni '60, ha partecipato a numerose esposizioni, tra
cui la Biennale di San Paolo in Brasile nel 1981. Nel 2024 è stata presente
alla 60ª Biennale d’Arte di Venezia, intitolata “Stranieri Ovunque” curata da
Adriano Pedrosa. Le sue opere fanno parte di diverse collezioni nazionali e
internazionali, oltre che di numerosi musei, tra cui la Galleria Nazionale
d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il MART di Rovereto, il MAGA di Varese
e il National Museum of Women in the Arts di Washington (USA).
Schödl
ha trascorso gli ultimi sei decenni a onorare un linguaggio visivo. Il suo
lavoro incorpora lettere e simboli, ripetuti ritmicamente fino a renderli
astratti. Forme geometriche e segni decisi si intrecciano con le parole,
illuminate con foglia d’oro e fuse su diverse superfici: pagine di libri
botanici, mappe, carte, foglie, pezzi di marmo, lenzuoli, che portano memoria
di esistenza passata. Attraverso la combinazione di rappresentazione
linguistica e visiva, Schödl cancella il significato originale delle parole e
degli oggetti che usa impregnandoli di un nuovo significato. Il suo lavoro
sfida i costrutti sociali del linguaggio e suggerisce forme alternative di
espressione e interpretazione.
18 SETTEMBRE
GUIDO ARMELLINI
Guido
Armellini ha insegnato italiano e storia a Bologna nella scuola secondaria,
Didattica della letteratura all’università di Padova, Letterature comparate
all’università di Verona. Per molti anni è stato direttore scientifico
dell’università Primo Levi di Bologna. Da oltre vent’anni coordina le attività
della scuola gratuita per stranieri By piedi di Bologna. Membro del Comitato
Bibbia, Cultura e Scuola di Biblia, Associazione laica di cultura biblica,
tiene incontri e corsi di divulgazione biblica.
Ha al suo
attivo numerose pubblicazioni, tra cui famose antologie scolastiche ed ha
improntato la sua ricerca sulla didattica della letteratura.
20 SETTEMBRE
MARTA ROBERTI
Marta Roberti ha studiato filosofia all’Università di
Verona e arti multimediali all’Accademia di belle arti di Brera (dove ha avuto
come docenti, tra gli altri, Mauro Folci, Paolo Rosa, Franco Berardi Bifo,
Antonio Caronia). La sua ultima mostra personale, In metamorfosi, a
cura di Cecilia Canziani, conclusasi di recente alla Sara Zanin Gallery di
Roma, ha ricapitolato e rilanciato ulteriormente gli sviluppi di una ricerca
che mette al centro la questione cruciale dell’identità. Identità che per Marta
Roberti non è sostanza, ma piuttosto divenire, o meglio, per riprendere il
titolo della mostra, incessante metamorfosi che mette in questione fin dalle
radici la logica aristotelica e il principio di non contraddizione. Io
è un altro, ce lo spiega da tempo la fisica quantistica ma da sempre anche
alcune culture orientali, fortemente presenti nella ricerca di quest’artista
che spesso fa dialogare Occidente e Oriente nella consapevolezza che ognuna di
queste determinazioni geografiche e culturali è compresa contemporaneamente
dentro l’altra. Insomma, se è vero che c’è un Occidente ‘maggiore’ che ha fatto
della logica aristotelica il suo fondamento, è anche vero che da sempre questo
è attraversato sotterraneamente da correnti alternative e ‘minori’ che sanno
bene che Dioniso arriva sempre da Oriente a dissolvere implacabilmente ogni
principio di individuazione. Allo stesso modo, potremmo dire che il
confucianesimo è la spina occidentale nel fianco dell’Oriente. Questo doppio
legame, che costituisce la struttura portante del nostro mondo – ben
sintetizzata dalla saggezza latina del nec tecum nec sine te vivere
possum ‒ e in cui è catturata l’attività artistica della Roberti, che
non a caso lavora su carta dello Yunnan che periodicamente si fa arrivare a
Roma, scompagina quindi le categorie del vivente, restituendolo alla sua
molteplicità.
Ultimamente, ed erano presenti anche in mostra,
Roberti ha lavorato a una serie di disegni intitolati S’io mi intuassi
come tu t’inmii, una frase della Divina Commedia di
Dante che potrebbe essere tradotta con: “se io potessi penetrare in te, capire
te, percepire te con la stessa empatia che ti fa penetrare in me”. Ecco perché
nei lavori della Roberti l’animale, il vegetale e l’umano si trasmutano spesso
l’uno nell’altro senza soluzione di continuità, com’era del resto nelle figure
mitologiche e divine di religioni e culti precristiani che oggi risultano
essere un’anticipazione del postumano. Metamorfosi intraspecifica, per
l’esattezza, che non solo ci dice che nessuno di noi coincide con un supposto
sé stesso, ma che ognuno di noi è contemporaneamente quel gatto che sorprendeva
già lo scettico Montaigne in un’altra epoca di profonde trasformazioni e che
per molti aspetti potrebbe essere avvicinata alla nostra, o quel Licaone (2020)
inciso su carta carbone ed esposto in una precedente mostra, curata da Manuela
Pacella alla Fondazione Pastificio Cerere, un anno e mezzo fa, poco prima che
la pandemia ci gettasse improvvisamente dentro un altro mondo popolato da
pappagalli e vegetali che sembravano riprendersi le città deserte. E ancora, il
femminile, altro tema che attraversa le opere di Marta Roberti, ma in una
chiave che tende a superare i limiti della filosofia della differenza per
aprirsi piuttosto al principio queer che rompe con ogni
binarismo possibile e presente in molti autoritratti in cui l’artista si metamorfizza
in pangolino, o nella serie Lotus Goddesses dedicata alla
reinvenzione delle divinità femminili induiste. Rottura dei confini, insomma, a
favore di quella “rete ingioiellata di Indra” in cui, secondo la filosofia
buddhista, consisterebbe l’essere e in cui ogni gemma riflette l’altra, in un
rapporto di mutua interdipendenza. Sovversione delle gerarchie e delle
subalternità, restituzione dell’essere alla sua molteplicità costantemente in
metamorfosi. Interrogata sulle sue letture e gli autori che più l’hanno
influenzata, Marta Roberti cita in rapida successione: Gregory Bateson e Gilles
Deleuze, Adriana Cavarero e Rosi Braidotti, Emanuele Coccia e Clarice
Lispector. Del suo lavoro hanno scritto, tra gli altri, Felice Cimatti, Cecilia
Canziani, Manuela Pacella.
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