La casa dei pensieri

4.8.25

Biografie premiati Targa Volponi 2025

 


2 SETTEMBRE

LIBRERIA GIANNINO STOPPANI

La libreria Giannino Stoppani, specializzata in letteratura per ragazzi, è stata fondata nel 1983 a Bologna da Simona Comelli, Grazia Gotti, Silvana Sola, Tiziana Roversi e Giampaola Tartarini, con il supporto del professor Antonio Faeti. Inizialmente situata in Palazzo Bentivoglio, si è trasferita nel 1991 a Palazzo Re Enzo, dove si trova tuttora. La libreria, intitolata a Gian Burrasca, è anche una cooperativa culturale che ha dato vita a un marchio editoriale e a numerose attività formative e culturali.

Nata nel 1983 come circolo culturale e libreria per ragazzi, si specializza nella letteratura per l'infanzia e l'adolescenza.

Inizialmente in Palazzo Bentivoglio, si trasferisce nel 1991 a Palazzo Re Enzo, sede attuale.

La libreria non è solo un luogo di vendita, ma anche uno spazio di ideazione e promozione culturale, con mostre, incontri, laboratori ed eventi.

Nel tempo, il circolo culturale si è trasformato in una cooperativa, dando vita al marchio editoriale Giannino Stoppani e all'Accademia Drosselmeier, centro studi e formazione per librai e appassionati di letteratura per l'infanzia.

La libreria si concentra su una selezione curata di editori italiani e internazionali, con particolare attenzione alla poesia e all'arte per ragazzi.

La libreria partecipa attivamente alla Fiera Internazionale del Libro per Ragazzi di Bologna, presentando libri premiati e novità editoriali.

La libreria si impegna nella ricerca di libri di qualità, nella promozione della lettura e nell'organizzazione di eventi culturali per bambini, ragazzi e adulti appassionati di letteratura per l'infanzia.

Nel corso degli anni, la libreria è diventata un punto di riferimento per il mondo dell'editoria e della letteratura per ragazzi, sia a livello nazionale che internazionale.

 

 

Una libreria per ragazzi e una cooperativa culturale

di Silvana Sola

dal numero di ottobre 2015 di “INDICE”

 

Era il 1983 quando prese corpo l’idea di una libreria per ragazzi titolata a uno dei personaggi più amati della letteratura italiana: Giannino Stoppani, il Gian Burrasca fiorentino uscito dalla penna felice di Luigi Bertelli, in arte Vamba.

Chi entrava nella sede di allora, in Palazzo Bentivoglio, a Bologna, a volte chiedeva se qualcuno di noi era pronipote dell’Abate Stoppani, il grande studioso, zio di Maria Montessori, diventato poi docente all’università di Pavia, nel 1861, o più semplicemente chiedeva del titolare, immaginando una proprietà maschile. La libreria era dedicata al monello più famoso della letteratura per ragazzi italiana, nome scelto dopo aver vagliato decine di idee, accompagnate nella decisione dal professor Antonio Faeti, maestro di studi e indispensabile compagno di strada. Per me l’incontro con il maestro fu davvero straordinario, perché fece virare il mio percorso accademico orientato all’antropologia verso la pedagogia. Mi bastò una lezione nella quale le sue parole facevano incontrare pedagogia, arte, cinema, storia, geografia e molto altro, per capire che quella forma di accesso alla conoscenza era davvero rivoluzionaria (e i suoi insegnamenti mi sono oggi particolarmente preziosi nel mio ruolo di docente in storia ­dell’illustrazione).

Offrire, nella città in cui vivevamo, un luogo dei libri dedicato ai bambini e ai ragazzi, un luogo di incontro per le famiglie, per gli insegnanti, per gli studiosi, per i curiosi.

E quel percorso pedagogico “rivoluzionario” fu il punto di partenza che trovò linfa nella passione condivisa, nel desiderio di offrire, nella città in cui vivevamo, un luogo dei libri dedicato ai bambini e ai ragazzi, un luogo di incontro per le famiglie, per gli insegnanti, per gli studiosi, per i curiosi. Eravamo cinque giovani donne: nessuna di noi aveva competenze commerciali, eravamo fresche di laurea o impegnate in altri percorsi lavorativi che toccavano spazi pedagogici e culturali, ma avevamo un sogno, un’idea precisa a cui dare mani e piedi.

doctor-pencilDa quell’idea nacque una libreria che era assieme spazio fisico di vendita e luogo di ideazione e promozione culturale. Nell’antro di Palazzo Bentivoglio videro la luce le prime mostre dedicate ad Altan, ai pirati, alla rappresentazione dell’avventura. Nel 1985 chiamammo a raccolta i nomi del mondo dell’illustrazione, qualcuno già noto, altri al loro esordio, per realizzare una mostra titolata Doctor Pencil e Mister China. Vecchie Finzioni e nuovi illustratori, una mostra che invitava a proporre un nuovo visivo per il fiabesco e le storie classiche dedicate ai ragazzi. Ne uscì un’esposizione ospitata in quella che allora era la Galleria d’Arte Moderna perché un direttore attento ai diversi linguaggi dell’arte aveva capito, trent’anni fa, che l’illustrazione era uno di quei linguaggi. Sulle pareti le tavole del Pinocchio di Lorenzo Mattotti, tavole che successivamente sarebbero diventate le illustrazioni del libro pubblicato prima in Francia e poi in Italia, le immagini ricercate di Igort, le prime tavole di giovani che rispondevano al nome di Francesca Ghermandi, Giuseppe Palumbo, accanto ai lavori del Gruppo Valvoline. La Galleria d’Arte Moderna di Bologna, fino agli anni 2000, fu lo spazio nel quale l’illustrazione, la didattica dell’arte, l’educazione al visivo, i libri, anche quelli per ragazzi, trovarono la legittima attenzione. E la cooperativa culturale Giannino Stoppani contribuì a questa forma d’incontro.

Era il 1991: la libreria per Ragazzi Giannino Stoppani si trasferì in Palazzo Re Enzo, il palazzo che aveva ospitato le prime edizioni della Bologna Children’s Book Fair, la più importante manifestazione al mondo dedicata all’editoria per l’infanzia e l’adolescenza.

Contemporaneamente cresceva il lavoro in libreria, aumentavano i libri sugli scaffali, gli spazi a cui eravamo tanto affezionate di Via delle Moline cominciarono a dichiarare i propri limiti: difficile accogliere classi sempre più numerose, difficile fare presentazioni, incontri con gli autori. Iniziammo a guardarci attorno e nel luogo sfitto da anni dell’ex Banco di Napoli, bene immobiliare del Comune di Bologna, identificammo lo spazio della svolta. Al Sindaco Renzo Imbeni un grazie di cuore per aver scelto noi come affittuari, preferendoci ad altri. Ristrutturammo il bene storico e ci facemmo carico di un canone d’affitto importante al Comune di Bologna, affitto soggetto in questi ultimi anni ad una lieve riduzione a fronte del riconoscimento del lavoro culturale che la Cooperativa e la Libreria svolgono da oltre trent’anni. Era il 1991: la libreria per Ragazzi Giannino Stoppani si trasferì in Palazzo Re Enzo, il palazzo che aveva ospitato le prime edizioni della Bologna Children’s Book Fair, la più importante manifestazione al mondo dedicata all’editoria per l’infanzia e l’adolescenza (ora con sede nel quartiere fieristico). A pochi metri dalla libreria che accoglie gratuitamente, quasi ogni giorno, bambini e ragazzi delle scuole per visite guidate tra i libri, accompagnati da librai competenti, abili traghettatori capaci di trasferire conoscenze e passione, c’è la sede della grande biblioteca Salaborsa, luogo pubblico straordinario che fa incontrare la bellezza architettonica, le preesistenze romaniche, con una grande offerta culturale. Una libreria per ragazzi a Bologna nella cui Università fu istituita la prima cattedra italiana di letteratura per l’infanzia, affidando il Magistero ad Antonio Faeti. insignito anche dell’Archiginnasio d’Oro.

infanzia-e-natura_interno_lena-Anderson Accanto alla ricerca costante dei libri, alla lettura di ciò che offre l’editoria italiana e straniera, alle proposte bibliografiche per un pubblico sempre più attento e desideroso di potersi affidare ai consigli di librai specializzati, il nome Giannino Stoppani ha intrecciato in altro modo la letteratura per ragazzi. Si è fatto editore pubblicando in Italia il libro Linnea nel giardino di Monet, portando ai lettori un capolavoro della letteratura per ragazzi svedese, ha costruito un catalogo nel quale arte e scienza hanno incontrato figure e storie. Come Giannino Stoppani siamo fiere di aver salutato il settantesimo della guerra di liberazione con un’antologia dedicata alla Resistenza che ha messo insieme, sulla carta, ma anche sulle pareti dei luoghi che ospitano la mostra, illustratori italiani e francesi, scrittori impegnati in testi inediti accanto a pagine importanti della storia della letteratura per ragazzi, un’antologia dedicata ai ragazzi, e agli adulti che li accompagnano nella crescita, per permettere loro di tenere attiva la memoria storica.

accademia-drosselmeier. Nel 2003, al compimento del nostro ventesimo compleanno, abbiamo dato vita all’Accademia Drosselmeier, uno spazio di formazione per librai per ragazzi, giocattolai, appassionati della letteratura per l’infanzia. Dall’Accademia Drosselmeier sono usciti libraie e librai che hanno dato vita a molte librerie per ragazzi italiane, hanno organizzato festival rivolti al mondo dei bambini e degli adolescenti, hanno studiato in modo appassionato la materia e sono diventati, a loro, volta formatori. Poi, nel desiderio di tenere viva l’attenzione sui libri per ragazzi, il loro ruolo di ponte nelle relazioni, per l’internazionalità e lo scambio, la Giannino Stoppani (grazie al lavoro instancabile di Grazia Gotti) è riuscita, attraverso un’ importante attività di rete e di ricerca, a far rinascere la sezione italiana dell’associazione internazionale Ibby, un impegno che ci ha fato risedere a fianco di settanta paesi nel mondo impegnati a promuovere il libro e la lettura per i bambini e i ragazzi. Un impegno di volontariato che ci vede oggi alla presidenza dell’associazione, assieme ad istituzioni attente e a persone fortemente motivate, a portare avanti progetti in una geografia italiana allargata. A Lampedusa l’obiettivo è l’apertura di una biblioteca per ragazzi, a Isola del Piano è la creazione dello scaffale dedicato alla legalità, a Bologna, Roma, Milano sono le iniziative di sostegno all’editoria italiana e alla sua visibilità fuori dai confini nazionali accanto a bibliografie multilingue che parlano di accoglienza e di diritto.

 

 




7 SETTEMBRE

ANDREA SPERANZONI

Nato a Venezia (1971), è avvocato del Foro di Bologna. Laureato presso l’Università degli Studi di Ferrara (tesi su La tutela processuale del segreto di Stato), si è occupato di processi relativi all’eversione di destra in Italia e di reati di terrorismo. Ha inoltre assistito in qualità di patrono di parte civile numerosi familiari delle vittime, Enti pubblici territoriali e l’A.N.P.I. nei processi celebratisi dopo la scoperta del cosiddetto “Armadio della Vergogna”. Dal 2008 collabora con la cattedra di Procedura penale europea e sovranazionale (Prof.ssa Silvia Buzzelli) presso il Dipartimento dei sistemi giuridici ed economici dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca.

È inoltre coautore di molte pubblicazioni, tra cui Contesti di strage – la strategia filoatlantica della stabilizzazione (1997),  Le stragi: i processi e la storia. Ipotesi per una interpretazione unitaria della ‘strategia della tensione’: 1969-1974 (1999),  Fenomeni di terrorismo. I legami tra neofascisti italiani e greci durante la dittatura militare di Atene 1967-1974 (assieme a Ninolaos Kleitsikas, 2003),  Lo stato di eccezione. Processo per monte Sole 62 anni dopo (2009), L’Italia violenta degli anni Settanta (2011), La ricostruzione giudiziale dei crimini nazifascisti in Italia. Questioni preliminari (2012) ed è autore di Le stragi della vergogna (con prefazione di Carlo Smuraglia e Marco De Paolis) sui processi ai crimini nazifascisti in Italia.

 

 

 

 

 


 

8 SETTEMBRE

PAUL COX

Che cos’è il disegno oggi, in un’epoca di saturazione di immagini veloci e immateriali? Come può la rappresentazione grafica preservare la propria autonomia linguistica in un contesto visivo dominato dalla spettacolarizzazione digitale? Questi interrogativi emergono percorrendo le sale di Palazzo Paltroni, sede della Fondazione del Monte di Bologna, dove è in corso la mostra “Wallbook” di Paul Cox (Parigi, 1959), artista autodidatta nato da genitori musicisti di origine belga e olandese. Parallelamente a una pittura sconfinante nel disegno, che costituisce la sua attività principale, si è distinto nella realizzazione di libri per ragazzi e manifesti per teatro e opera, scenografie e installazioni ludiche, campagne pubblicitarie e giochi.

L’allestimento a Palazzo Paltroni abolisce i confini architettonici delle sale espositive: le pareti spariscono dietro un dipinto continuo in scala ambientale, lungo 75 metri, concepito come giustapposizione di unità modulari di un unico grande apparato visivo. L’abolizione della distinzione tra le singole opere a favore della loro continuità offre al visitatore un’esperienza ulteriore rispetto alla fruizione pittorica tradizionale, proiettandolo in una sorta di caleidoscopica vertigine visiva. Le tele, dipinte per quattro mesi nell’atelier dell’artista in Borgogna, si dispiegano formando un continuum grafico a sviluppo panoramico caratterizzato da una cromia vivace ed essenziale. L’effetto avvolgente di questo dispositivo richiama, in un’accezione più giocosa, le strategie di coinvolgimento ambientale elaborate da artisti come Daniel Buren o Sol LeWitt, pur imboccando un sentiero più narrativo e apertamente figurativo. La cifra stilistica di Cox si articola attraverso un vocabolario visivo ostentatamente elementare: disegni stilizzati, dalle linee semplificate ma incisive, popolano il piano pittorico (qui coincidente per estensione con la parete), organizzandosi su una griglia rettangolare rossa che funge da struttura portante dell’impianto figurativo. Questa impalcatura modulare diventa il terreno di gioco dei prodotti di un immaginario oscillante tra reminiscenze infantili e cifrati rimandi alla storia dell’arte. I personaggi e gli oggetti raffigurati rivelano un attento studio delle proporzioni e dei bilanciamenti cromatici, con una prevalenza di colori saturi e sgargianti tipici della palette dell’artista, che amplifica il carattere ludico dell’insieme.

Le pennellate si intersecano ripetendo in una versione ispessita e ravvicinate la struttura reticolare della griglia di fondo, creando un ulteriore livello geometrico sapientemente contraddetto dal carattere ingenuo delle figure ritratte, che si muovono con leggerezza nello spazio pittorico conferendo un ritmo quasi musicale all’insieme. Ciascuna delle elementari presenze dipinte, perlopiù figure umane, animali domestici e oggetti quotidiani, è circondata da uno specifico alone cromatico che ne costituisce lo sfondo e l’ambientazione, evocativo di ingenui paesaggi rurali o interni domestici. La semplificazione formale operata dall’artista ricorda alcuni esempi di arte popolare, con omaggi ai maestri a lui più cari, come Töpffer, Hokusai, Brueghel e Chardin. Interessante nella grammatica visiva di Cox è l’assenza di volti riconoscibili nei personaggi, elemento che introduce una sottile inquietudine in un universo apparentemente armonico. Questa obliterazione dell’identità conferisce alle figure una dimensione archetipica, trasformandole in silhouette generiche che popolano un mondo di primo acchito perfetto ma intrappolato in sé stesso. L’effetto è quello di un’utopia ambigua tra innocenza e distopia, tra nostalgia per un Eden primordiale e la coazione a ripetere.

L’immersione generata dalla disposizione delle tele, inoltre, produce la sensazione di trovarsi all’interno di un libro illustrato tridimensionale e di abitarne il disegno. Siamo noi a esserci rimpiccioliti o le illustrazioni della fiaba a ingigantirsi fino a sovrastarci? Per Paul Cox le figure e le narrazioni che popolano la letteratura costituiscono un mondo che esce dai libri e può diventare reale. Questo aspetto performativo rappresenta uno dei punti di forza dell’artista, che rischia proprio per la sua efficacia immediata di sbilanciarsi verso una dimensione in prevalenza scenografica, che appiattisce le possibilità di una riflessione più articolata sullo specifico pittorico. In tale dimensione liminale tra rappresentazione e ambiente, Cox trasforma lo spettatore da osservatore passivo a partecipante attivo della narrazione visiva. “Wallbook” si configura così come un’operazione metacritica che interroga lo statuto dell’immagine contemporanea riaffermando la centralità dell’esperienza corporea nell’atto del vedere. La mostra rappresenta anche un momento di riflessione sulla possibilità di preservare un territorio di autonomia espressiva per il disegno in un’epoca dominata dalla digitalizzazione dell’immagine. La risposta di Cox passa attraverso la rivendicazione della materialità del segno, della sua presenza fisica nello spazio, della sua capacità di generare un’esperienza irriducibile alla fruizione mediata dagli schermi. Il suo dispositivo visivo, nella sua apparente semplicità, riesce a sollevare interrogativi complessi sul futuro della rappresentazione grafica e sulle sue possibilità di resistenza all’omologazione digitale. “Wallbook” diventa così un manifesto poetico sulla persistenza del disegno come linguaggio primario dell’espressione umana, capace di creare mondi alternativi proprio mentre ne mette in discussione i confini.

 

 

 

 


 

 

11 SETTEMBRE

CESARE BASTELLI

Cesare Bastelli (Modena9 ottobre 1949) è un direttore della fotografia e regista italiano.

Cresciuto a Bologna, Bastelli in gioventù ha fatto parte di un gruppo di teatro sperimentale. Ha frequentato il DAMS del capoluogo emiliano.

Attraverso la conoscenza di Lucio Dalla, col quale ha collaborato negli anni Settanta e Ottanta per i suoi videoclip, ha incontrato Pupi Avati.

Ha lavorato in tutti i film del regista bolognese come aiuto regista e, in seguito, come fotografo di scena e direttore della fotografia; sempre come aiuto regista ha collaborato, tra gli altri, con Marco BellocchioRoberto FaenzaMarco Ferreri.

È stato direttore della fotografia anche di documentari e videoclip musicali e si è dedicato al montaggio. Il suo primo film da regista è Una domenica sì.

 

 

 

 

 



  

   

 

 

 

15 SETTEMBRE

FONDAZIONE AMICI DI LUCA DE NIGRIS-CASA DEI RISVEGLI

 La “Casa dei risvegli Luca De Nigris” è una struttura dedicata alla riabilitazione, formazione e ricerca nel campo delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite (GCA), con particolare riferimento ai Disordini della Coscienza (DOCs). Adotta un modello nel quale gli assistiti non sono considerati “malati” ma persone con alto bisogno di assistenza e di riabilitazione.

Intende offrire all’utenza ed ai loro familiari uno standard elevato di qualità dell’accoglienza ed ospitalità ed un continuo miglioramento. A tal fine la UO di Medicina Riabilitativa e Neuroriabilitazione e l’Associazione “Gli Amici di Luca” hanno concordato specifiche modalità di consultazione e di condivisione per l’analisi del processo di accoglienza e permanenza nella struttura, per l’analisi della qualità percepita e per la verifica periodica del “Progetto di Struttura”.

 

Le finalità sono:

realizzare una offerta assistenziale specializzata per il paziente slow to recover;

assicurare un ottimale livello di osservazione, cura e riabilitazione del paziente ma anche di aiuto alle famiglie nella fase riabilitativa;

promuovere l’integrazione fra Azienda Sanitaria e Associazione di Volontariato nei processi di riabilitazione e ricerca;

applicare un setting non tradizionalmente ospedaliero per degenze prolungate.

 

Gli impegni sono:

Eguaglianza ed imparzialità nel trattamento.

Rispetto della privacy e delle convinzioni religiose o filosofiche.

Tutela della dignità personale.

Assistenza alle funzioni di base del paziente.

Assistenza riabilitativa intensiva e personalizzata.

Assistenza neuropsicologica, psicologica e sociale.

Integrazione tra progetto clinico, riabilitativo, psicologico e sociale.

Ospitalità e comfort del familiare durante il periodo di riabilitazione.

Informazione, formazione e assistenza psicologica alla famiglia.

Coinvolgimento della famiglia nella pianificazione e gestione del progetto assistenziale e degli obiettivi riabilitativi.

Consegna alla famiglia di conoscenze e competenze per l’assistenza a domicilio.

Aiuto al recupero dell’identità e della storia personale del paziente e della famiglia e alla ricostruzione di un progetto di vita.

Lavoro in team e per obiettivi.

Integrazione con la rete dei servizi.

Ricerca e miglioramento continuo.

Aggiornamento e formazione continua dei professionisti e dei volontari.

 

 

 

 

 


 


 

15 SETTEMBRE

JOLANDO SCARPA

L’albo d’oro del premio “Medaglia Beato Angelico, Patrono Universale degli Artisti” si arricchisce con il nome di un triestino: Jolando Scarpa, veneziano di nascita, è stato insignito del riconoscimento in occasione di un concerto d’organo alla Basilica di Santa Maria Novella a Firenze. Finora, l’associazione “Beato Angelico per il Rinascimento” ha conferito la Medaglia a 55 artisti, tra cui Franco Zeffirelli, Andrea Bocelli, Lina Wertmüller, Pupi Avati, Massimo Ranieri, Riccardo Cocciante e Claudia Koll. Per la prima volta - era il 2002 - venne assegnata al grande baritono Rolando Panerai, scomparso nell’ottobre dello scorso anno. Da allora, il premio è attribuito a quegli artisti che, “consapevoli del fatto che l’Arte non dovrebbe esser fine a se stessa o finalizzata unicamente all’accrescimento della propria fama o ricchezza personale, operano per diffondere nel mondo la luce della spiritualità attraverso i propri talenti”.
Scarpa ha ricevuto il riconoscimento “perché eccellente organista e musicologo acclamato in tutta Europa”: oltre che organista, Scarpa è clavicembalista, ma soprattutto compie un’attività di ricerca riportando alla luce interessanti manoscritti inediti e stampe rare di musiche vocali e strumentali di compositori del periodo rinascimentale e barocco italiano, tedesco e francese, dedicandosi in particolare alla riscoperta e all’esecuzione delle musiche dei quattro grandi Ospedali veneziani sulle quali è ritenuto uno tra i principali studiosi.
A Trieste, vive da quattro anni, «ma è sempre stata la mia città-mito - racconta -. Le mie origini sono veneziane da parte paterna e friulane da parte materna. Mi sento ancora legato intimamente a un paesetto del Pordenonese: in questa frazione di Azzano Decimo, Fagnigola, ho passato i più bei momenti della mia infanzia conoscendo anche un lontano parente di mia madre, lo scultore Marcello Mascherini».
Negli anni, Trieste è diventata il suo rifugio. «Del resto - afferma - il mio vero maestro è stato il compositore triestino Raffaele Cumar, la cui sconfinata conoscenza mi ha contagiato per sempre spronandomi in quella ricerca a tutto tondo nel mondo della musica che ha posto successivamente le basi alla mia intensa attività editoriale con case editrici austriache e tedesche. In seguito, frequentando assiduamente il variegato mondo protestante, ho tenuto diversi concerti a Gorizia (dove anche ho predicato nella locale chiesa metodista) e coltivato numerose amicizie, tra cui quella con il compianto maestro Giuseppe Zudini. Da lui sono stato invitato più volte a suonare nella rassegna “Ottobre Organistico” che si svolgeva nella Basilica di San Silvestro».
Per il futuro, sull’onda della soddisfazione per la Medaglia Beato Angelico, i propositi non mancano. «In un contesto fortemente ecumenico qual è quello triestino - racconta ancora Jolando Scarpa - mi piacerebbe dedicarmi come musicologo, ma anche come credente cristiano, alla riscoperta della produzione di diversi compositori del periodo barocco attivi in quell’area geografica chiamata “Litorale”. Un esempio? Le magniloquenti Messe e i Mottetti del cattolico Gabriel Sponga-Usper (allievo a Venezia di Andrea Gabrieli). E poi vorrei restituire alla dignità dell’ascolto i dimenticati Mottetti dell’austriaco protestante Isaac Posch. Infine, mettere in evidenza quanto alcuni compositori italiani del ‘700 fecero per “riformare”, ossia rendere più consona ai tempi, la musica delle liturgie ortodosse».

Preso da IL PICCOLO TRIESTE 29 gennaio 2020

 

 


16 SETTEMBRE

CARLA FARALLI

CARLA FARALLI dopo aver conseguito la laurea nel giugno del 1972, con il punteggio di 110/110 e lode, è stata prima incaricata di esercitazioni, poi titolare di una borsa di studio ministeriale, successivamente di un assegno finche' l'1/11/1977 e' entrata in servizio come assistente ordinario presso la cattedra di Filosofia del diritto della Facolta' di Giurisprudenza dell'Universita' di Bologna.

In data 1/6/1983 e' stata nominata professore associato sull'insegnamento di Filosofia del diritto presso la Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' di Bologna.

Nel 1990 ha vinto il concorso per professore ordinario ed e' stata chiamata presso la Facolta'  di Giurisprudenza dell'Universita' di Modena. Dal 1995 si e' trasferita alla Facolta' di Giurisprudenza dell'Universita' di Bologna dove tuttora insegna Filosofia del diritto e Etica applicata nel corso di laurea magistrale in giurisprudenza e il corso Women and Law per il Master GEMMA.

Dal 1986 e' membro del CIRSFID (di cui e' Direttrice); dal 2001 al 2006 e' stata coordinatrice del Dottorato in Bioetica, divenuto poi, nel 2006/07, sezione del Dottorato in diritto e nuove tecnologie (sede di Bologna) e fino al 2012 ha coordinato il Dottorato in Diritto e nuove tecnologie; dal 2014 al 2017 è stata membro del Collegio docenti del Dottorato in  Scienze Giuridiche e attualmente è membro del Collegio docenti del Dottorato in Law, Science and Technology.

Dal 2002 al 2008 e' stata membro del Consiglio di Amministrazione; dal 2002 al 2012 e' stata membro della Giunta dell'Universita' di Bologna; dal 2008 al 2015 e' stata membro del Senato Accademico.

E' stato membro del Comitato Etico del Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna fino al 2013; del Comitato di Bioetica dell'Ateneo  dal 2010 al 2016; del Comitato Etico dell'Università Statale di Milano dal 2013 al 2015 e del Comitato Etico dell'Istituto Ortopedico Rizzoli fino al 2017. Attualmente è membro del Comitato Etico di Area Vasta Emilia Centro (CE-AVEC) della Regione Emilia Romagna. E' stata Presidente della Societa' Italiana di Filosofia del Diritto da inizio 2015 a inizio 2019 e coordinatrice della Società Italiana di Diritto e Letteratura (Network).

E' membro del Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale (Commissione permanente di Sociologia del diritto), dell'Instituto de derechos humanos dell'Universita' Complutense di Madrid; dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna.

E' editor in chief di Ratio Iuris. An International Journal of Jurisprudence and Theory of Law  e della Rivista di Filosofia del Diritto; E' membro del comitato di direzione di Sociologia del diritto; del Consiglio Scientifico delle Riviste Salute e Societa',  Biodiritto e Responsabilità medica; dal 1985 e' corrispondente dall'Italia della rivista Droit et Societe'. Revue Internationale de theorie du droit et de sociologie juridique ; dal 1983 al 1999, ha curato la sezione italiana di Current Legal Theory. International Journal for Documentation on Legal Theory (Bibliography-Abstracts- Reviews); dal 1995  al 1999 e' stata editor di IVR Newsletter.

Nell'ambito della ricerca si e' occupata dapprima di storia delle idee e di storia sociale e si e' avvicinata successivamente a tematiche piu' propriamente filosofico- giuridiche.

Dopo i primi studi sul pensiero filosofico-giuridico del Cinque e del Seicento (Grozio e Seconda Scolastica), si e' occupata degli orientamenti del pensiero filosofico-giuridico dell'Otto e del Novecento (particolarmente in Italia, nei Paesi scandinavi e negli Stati Uniti) - quali il positivismo filosofico e il realismo - improntati al rifiuto del formalismo e alla ricerca intesa a penetrare la realta' sociale, psicologica e politica del diritto e da ultimo degli sviluppi del dibattito contemporaneo.

Si e' inoltre occupata dell'analisi teorica di concetti fondamentali del pensiero giuridico quali Stato, certezza del diritto, fonti del diritto, nonche' di problematiche relative all'antropologia e alla sociologia giuridica, alla bioetica e al rapporto diritto e genere, e diritto e letteratura.

A questi temi ha dedicato numerosi articoli, pubblicati in riviste sia italiane sia straniere, a testimonianza della rilevanza anche internazionale di tali studi.

Ha partecipato quale relatrice a convegni nazionali ed internazionali; ha coordinato ricerche di interesse nazionale.

 

 

 

 


 

18 SETTEMBRE

GRETA SCHÖDL

 

Nata a Hollabrunn, in Austria, nel 1929, si trasferisce a Bologna alla fine degli anni Cinquanta. Attiva dagli anni '60, ha partecipato a numerose esposizioni, tra cui la Biennale di San Paolo in Brasile nel 1981. Nel 2024 è stata presente alla 60ª Biennale d’Arte di Venezia, intitolata “Stranieri Ovunque” curata da Adriano Pedrosa. Le sue opere fanno parte di diverse collezioni nazionali e internazionali, oltre che di numerosi musei, tra cui la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il MART di Rovereto, il MAGA di Varese e il National Museum of Women in the Arts di Washington (USA).

Schödl ha trascorso gli ultimi sei decenni a onorare un linguaggio visivo. Il suo lavoro incorpora lettere e simboli, ripetuti ritmicamente fino a renderli astratti. Forme geometriche e segni decisi si intrecciano con le parole, illuminate con foglia d’oro e fuse su diverse superfici: pagine di libri botanici, mappe, carte, foglie, pezzi di marmo, lenzuoli, che portano memoria di esistenza passata. Attraverso la combinazione di rappresentazione linguistica e visiva, Schödl cancella il significato originale delle parole e degli oggetti che usa impregnandoli di un nuovo significato. Il suo lavoro sfida i costrutti sociali del linguaggio e suggerisce forme alternative di espressione e interpretazione.

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 


18 SETTEMBRE

GUIDO ARMELLINI

Guido Armellini ha insegnato italiano e storia a Bologna nella scuola secondaria, Didattica della letteratura all’università di Padova, Letterature comparate all’università di Verona. Per molti anni è stato direttore scientifico dell’università Primo Levi di Bologna. Da oltre vent’anni coordina le attività della scuola gratuita per stranieri By piedi di Bologna. Membro del Comitato Bibbia, Cultura e Scuola di Biblia, Associazione laica di cultura biblica, tiene incontri e corsi di divulgazione biblica.

Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, tra cui famose antologie scolastiche ed ha improntato la sua ricerca sulla didattica della letteratura.

 



 

 

 

 


20 SETTEMBRE

MARTA ROBERTI

Marta Roberti ha studiato filosofia all’Università di Verona e arti multimediali all’Accademia di belle arti di Brera (dove ha avuto come docenti, tra gli altri, Mauro Folci, Paolo Rosa, Franco Berardi Bifo, Antonio Caronia). La sua ultima mostra personale, In metamorfosi, a cura di Cecilia Canziani, conclusasi di recente alla Sara Zanin Gallery di Roma, ha ricapitolato e rilanciato ulteriormente gli sviluppi di una ricerca che mette al centro la questione cruciale dell’identità. Identità che per Marta Roberti non è sostanza, ma piuttosto divenire, o meglio, per riprendere il titolo della mostra, incessante metamorfosi che mette in questione fin dalle radici la logica aristotelica e il principio di non contraddizione. Io è un altro, ce lo spiega da tempo la fisica quantistica ma da sempre anche alcune culture orientali, fortemente presenti nella ricerca di quest’artista che spesso fa dialogare Occidente e Oriente nella consapevolezza che ognuna di queste determinazioni geografiche e culturali è compresa contemporaneamente dentro l’altra. Insomma, se è vero che c’è un Occidente ‘maggiore’ che ha fatto della logica aristotelica il suo fondamento, è anche vero che da sempre questo è attraversato sotterraneamente da correnti alternative e ‘minori’ che sanno bene che Dioniso arriva sempre da Oriente a dissolvere implacabilmente ogni principio di individuazione. Allo stesso modo, potremmo dire che il confucianesimo è la spina occidentale nel fianco dell’Oriente. Questo doppio legame, che costituisce la struttura portante del nostro mondo – ben sintetizzata dalla saggezza latina del nec tecum nec sine te vivere possum ‒ e in cui è catturata l’attività artistica della Roberti, che non a caso lavora su carta dello Yunnan che periodicamente si fa arrivare a Roma, scompagina quindi le categorie del vivente, restituendolo alla sua molteplicità.

Ultimamente, ed erano presenti anche in mostra, Roberti ha lavorato a una serie di disegni intitolati S’io mi intuassi come tu t’inmii, una frase della Divina Commedia di Dante che potrebbe essere tradotta con: “se io potessi penetrare in te, capire te, percepire te con la stessa empatia che ti fa penetrare in me”. Ecco perché nei lavori della Roberti l’animale, il vegetale e l’umano si trasmutano spesso l’uno nell’altro senza soluzione di continuità, com’era del resto nelle figure mitologiche e divine di religioni e culti precristiani che oggi risultano essere un’anticipazione del postumano. Metamorfosi intraspecifica, per l’esattezza, che non solo ci dice che nessuno di noi coincide con un supposto sé stesso, ma che ognuno di noi è contemporaneamente quel gatto che sorprendeva già lo scettico Montaigne in un’altra epoca di profonde trasformazioni e che per molti aspetti potrebbe essere avvicinata alla nostra, o quel Licaone (2020) inciso su carta carbone ed esposto in una precedente mostra, curata da Manuela Pacella alla Fondazione Pastificio Cerere, un anno e mezzo fa, poco prima che la pandemia ci gettasse improvvisamente dentro un altro mondo popolato da pappagalli e vegetali che sembravano riprendersi le città deserte. E ancora, il femminile, altro tema che attraversa le opere di Marta Roberti, ma in una chiave che tende a superare i limiti della filosofia della differenza per aprirsi piuttosto al principio queer che rompe con ogni binarismo possibile e presente in molti autoritratti in cui l’artista si metamorfizza in pangolino, o nella serie Lotus Goddesses dedicata alla reinvenzione delle divinità femminili induiste. Rottura dei confini, insomma, a favore di quella “rete ingioiellata di Indra” in cui, secondo la filosofia buddhista, consisterebbe l’essere e in cui ogni gemma riflette l’altra, in un rapporto di mutua interdipendenza. Sovversione delle gerarchie e delle subalternità, restituzione dell’essere alla sua molteplicità costantemente in metamorfosi. Interrogata sulle sue letture e gli autori che più l’hanno influenzata, Marta Roberti cita in rapida successione: Gregory Bateson e Gilles Deleuze, Adriana Cavarero e Rosi Braidotti, Emanuele Coccia e Clarice Lispector. Del suo lavoro hanno scritto, tra gli altri, Felice Cimatti, Cecilia Canziani, Manuela Pacella.